RECENSIONI
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Gounod o della semplificazione

Per un autore come Gounod, sensibile più alle ragioni del canto che a quelle della drammaturgia, attingere ai giganti del teatro – Goethe, Shakespeare o Molière poco importa, perché analogo resta il procedimento – prevedeva un lavoro di candida quanto astuta semplificazione: l'appeal sempreverde del Faust e quello, oggi un po' più appannato, del Roméo et Juliette risiede proprio nella riconduzione del “problema centrale” al prevedibile versante amoroso, nell'ampio ricorso al décor e, insomma, nella loro condotta drammatica scevra da complicazioni.

Alle prese con il Molière di Le médecin malgré lui la tecnica non cambia o, meglio, muta solo in rapporto alle differenti esigenze presentate da un testo comico: agevolato, e in un certo senso autorizzato, dalla fama di lavoro “minore” che accompagna questa pièce (Molière qui rinuncia ai grandi affondi psicologici, virando verso una stilizzazione dei caratteri che occhieggia ai canovacci della commedia dell'arte), Gounod realizza un' opéra-comique più sorridente che corrosiva, più garbatamente operettistica che pregna di umorismo vero. E la stessa struttura del lavoro – nel libretto il linguaggio “basso” punta a un tono quotidiano, ma gli inserti parlati mantengono il testo seicentesco di Molière – crea uno scarto stilistico, che la serena medietas del compositore non converte quasi mai in sperimentazione linguistica.

Lo spettacolo andato in scena a Ginevra, nella sede temporanea dell'Opéra des Nations (simpatico prefabbricato di legno a due passi dal Palazzo delle Nazioni Unite) in attesa che il restauro del Grand Théâtre sia terminato, punta invece molto sulla dimensione strutturale di opéra-comique, a cominciare proprio dai dialoghi recitati. Consapevole di avere a disposizione un cast più di attori-cantanti che di cantanti-attori, la regia di Laurent Pelly lavora da un lato sulla fisicità duttilissima degli interpreti, dall'altro sulla frastagliata verbalità del testo: è evidente come, per il regista, il côté dei “parlati” non rappresenti dei meri siparietti, ma un momento dialettico con il resto dell'opera. La scenografia di Chantal Thomas (surreale nel primo atto, d'impianto classico nel prosieguo) accentua quest'idea di bifasicità, mentre Pelly non rinuncia a qualche affondo visionario, andando oltre le intenzioni di Gounod e, tuttavia, con buon costrutto. È il caso del coro dei finti dottori, qui inteso come un sogno di Sganarelle anziché una sua buffonesca macchinazione: incubo dovuto ai fumi dell'alcol, certo, ma pure all'ormai ineludibile identificarsi con il ruolo di medico suo malgrado.

Se Pelly “modernizza”, Sébastien Rouland – sul podio dell'Orchestra della Suisse Romande – in primo luogo “classicizza”: è palese, sin dall' ouverture, la ricerca di sonorità e dinamiche riagganciate a quello stile galante con cui Lully e Charpentier infondevano plastica consistenza alle musiche di scena molieriane. Semmai latita un po' la dimensione del pastiche, quel minimalismo svagato e all'apparenza disimpegnato che, col senno di poi, “fa” molto Novecento ed è forse all'origine dell'ammirazione che Stravinskij aveva per l'opéra-comique di Gounod.

Sta di fatto, comunque, che si tratta di un autore dove la dimensione vocale è imprescindibile; e a Ginevra, sotto tale profilo, non tutto ha funzionato. Le rare esecuzioni italiane di quest'operina, così come quelle di Philémon et Baucis (un Ovidio in chiave di commedia, che di Le médecin malgré lui rappresenta un ideale pendant), hanno insegnato che in questi Gounod comici sono necessari commedianti canori di spessore: le registrazioni con Capecchi, Tajo, Montarsolo, Panerai stanno lì a dimostrarlo. Mentre Boris Grippe è uno Sganarelle tanto frenetico in scena quanto defilato nei primi piani vocali; di Franck Leguérinel (un Geronte che sembra qualche nostro vecchio politico democristiano) s'intuiscono antichi meriti, ma all'interno di una voce prossima al disarmo; e delle interpreti femminili vien da lodare in primo luogo la simpatia. Le due componenti del ruolo di Leandro – l'“amoroso” e il “commediante” – sono invece colte felicemente dal tenore Stanislas de Barbeyrac: e la disomogeneità della sua emissione (registro di petto morbido e ombreggiato, registro di testa pallido ed esangue) qui non disturba, anzi appare funzionale a cogliere le differenti anime del personaggio.

Paolo Patrizi

13/4/2016

La foto del servizio è di Carole Parodi.