Nuovo cinema Manon
Il Teatro Regio di Torino inaugurerà la stagione 2024/25 con Le nozze di Figaro a fine novembre. Ma ha voluto riaprire i battenti dopo la pausa estiva con qualcosa di molto più ricercato e a suo modo unico, sia per il cosa, sia per il come: le tre versioni teatrali dell'Histoire du chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut di Prévost, o quantomeno le tre più importanti, tutte concentrate nel mese di ottobre 2024, sì da poterne operare un confronto diretto. Nella sala del Mollino si alternano così la Manon Lescaut di Auber, la Manon di Massenet e la Manon Lescaut di Puccini. Che ci sia di mezzo Puccini è quasi un must nel 2024, anno del centenario della sua morte; e d'altro canto il Regio ha vantato nella stagione scorsa la più alta densità di titoli pucciniani a livello nazionale – ben cinque: La bohème, ottobre '23; La rondine, novembre '23; La fanciulla del West, marzo '24; Le Villi, aprile '24; Il trittico, giugno '24 (e a scorporare Il trittico i titoli diventano sette); prima di questi, poi, si aggiunga la ripresa della Madama Butterfly nel giugno del '23, a dare inizio alle celebrazioni pucciniane: si arriva così, nell'arco di due anni, a un totale di otto opere su dodici. Chi come il sottoscritto ha creduto (e sperato) in un completamento in questa stagione dell'integrale della produzione operistica pucciniana, compreso magari quell'Edgar in quattro atti che proprio a Torino è rinato nel giugno del 2008, ha visto l'idea convertirsi in un minifestival che include sì un altro titolo di Puccini, nella fattispecie Manon Lescaut, ma posto a contatto, come si diceva, con le due altre versioni teatral-musicali ispirate allo stesso soggetto. Un'operazione di alta originalità, questa di Manon Manon Manon, che, scritta in diversi caratteri tipografici a tappezzare gli spazi pubblicitari della città e reclamizzata con la dovuta eco massmediatica, non ha mancato di attirare l'attenzione di critici e melomani; anche perché, se la versione di Puccini rimane quella più famosa e più viscerale, quella di Massenet è già di più raro ascolto; non parliamo poi di quella di Auber che debutta nel capoluogo piemontese proprio in questa occasione, a centosessantotto anni dalla sua nascita!
Il personaggio di Manon Lescaut nasce dalla fantasia di Antoine François Prévost, al quale dedica il settimo e ultimo romanzo del ciclo Mémoires et aventures d'un homme de qualité. Quello che avrebbe dovuto essere lo spin-off della storia principale, ovvero il ricordo di una storia raccontata all' homme de qualité qui s'est retiré du monde, finì presto per adombrare gli altri sei volumi e imporsi come libro a sé stante, ispirando con alterne fortune uomini, letterati e musicisti di tutta la restante parte del Settecento, di tutto l'Ottocento e, vedremo, financo del NovecentoDopo essere stato pubblicato nel 1731, si ha notizia di un primo adattamento con il vaudeville (commedia) Manon Lescaut, ou La courtisaine vertueuse, di cui si ha notizia almeno dal 1772. Segue il mélodrame in tre atti Manon Lescaut, ou Le Chevalier Des Grieux, dramma teatrale con brani cantati di Étienne Gosse (Parigi, Théâtre de la Gaîté, 16/11/1820), e il ballet-pantomime en trois actes intitolato Manon Lescaut, con musica di Fromental Halévy e libretto di Eugéne Scribe (Parigi, Théâtre de l'Opéra, 03/05/1830). Sarà questo balletto ad influenzare principalmente i lavori operistici futuri; la sua popolarità lo porterà ad essere citato in lavori quali Il rosso e il nero di Stendhal, e favorirà la circolazione del soggetto della cortigiana innamorata e redenta dal suo amore, come attesta la pubblicazione di lì a poco de La dame aux camélias di Alexandre Dumas fils (1848), nel quale viene citato proprio il romanzo di Prévost. Del resto, fu proprio basandosi sulla stage version di Scribe che l'irlandese Michael William Balfe ricaverà pochi anni dopo l'opera The Maid of Artois, su libretto di Alfred Bunn. Sono gli anni inglesi della Malibran, e sarà proprio lei a rivestire per la prima volta, il 27/05/1836, il role title di Isoline al Drury Lane Theater di Londra. Il filone prosegue con un altro balletto, il Manon Lescaut di Matthias Strebinger su libretto di Giovanni Golinelli (Vienna, Hoftheater, 22/01/1852); ma i tempi sono ormai maturi per la messa in musica, da parte di Verdi, del romanzo di Dumas: ed è la volta de La traviata (Venezia, Fenice, 06/03/1853), che, se non cita espressamente il personaggio di Manon, pure la fa intravedere in filigrana, dal momento che prende le mosse da un romanzo che, come detto, cita quello di Prévost. Tempo tre anni, ed è il momento del primo vero adattamento importante di quest'ultimo, da parte di Daniel Auber, che collabora ancora una volta col suo fidatissimo librettista, Eugène Scribe, per approntare quella Manon Lescaut che calcherà le scene per la prima volta all'Opéra Comique di Parigi il 23/02/1856, restando in cartellone per sessantatré recite e venendo ripresa la stagione successiva per altre due. Auber, che ha il vantaggio di collaborare con lo stesso autore del libretto per il balletto di Halévy, adatta il romanzo di Prévost ai gusti del pubblico del teatro sulle cui assi va in scena, fornendo, al netto delle doverose semplificazioni e di alcune distorsioni di trama e personaggi (il fratello di Manon qui diventa il cugino), una versione molto salottiera, con dialoghi parlati inframmezzati a brani cantati, come tipico dell' opéra comique, ma non rinunciando al finale tragico, inconsueto per un genere così leggero da sfiorare talvolta il clima dell'operetta: al punto da comporre il terzo atto nel genere non più dell'opéra comique, ma dell'opéra lyrique: e la differenza si coglie lampante.
La cronistoria di Manon riprenderà negli articoli che seguiranno e le caratteristiche dell'opera di Auber verranno approfondite nella recensione dedicata. Si accenni qui soltanto al fatto che, passando di mano in mano e di gusto in gusto, la storia dell'eroina con la passione per il lusso e del cavaliere pazzo di lei ha trovato di volta in volta il modo di essere vista, da parte di librettisti e compositori, da angolazioni diverse, come un prisma che diffranga il medesimo raggio di luce. Per questo è parsa idea quanto mai indovinata affidare il progetto registico di tutte e tre le Manon alla stessa squadra, ovvero ad Arnaud Bernard (regia), Alessandro Camera (scene), Carla Ricotti (costumi), Fiammetta Baldiserri (luci), Marcello Alongi (video) e Tiziana Colombo (movimenti coreografici). A questo zoccolo duro si affiancheranno direttori differenti, alla guida di sei compagnie di canto, due per ciascuna produzione, e dell'Orchestra e del Coro del Regio di Torino, quest'ultimo diretto da Ulisse Trabacchin. Regia comune, visione d'insieme comune. La diversità dei caratteri delle tre Manon (e dei tre Des Grieux) viene filtrata da Bernard attraverso il denominatore comune del cinema. Nulla di più naturale, se si pensa che 1) Manon Lescaut è nata in Francia; 2) il cinema è nato in Francia, con la prima proiezione pubblica a pagamento dei fratelli Lumière (Parigi, 28/12/1895) e che 3) Torino ha ospitato in Italia la prima proiezione cinematografica, proprio con apparecchiature Lumière (07/11/1896). Sono gli anni in cui Puccini coglie i suoi primi veri successi, per l'appunto con Manon Lescaut, che debutta guarda caso al Regio di Torino il primo febbraio 1893, e con La bohème, anch'essa battezzata al Regio di Torino esattamente tre anni dopo, il primo febbraio 1896. Se poi pensiamo che il monumento simbolo di Torino, la Mole Antonelliana, ospita presentemente uno dei più interessanti musei del cinema d'Italia, il cerchio si chiude. È in particolare al cinema in bianco e nero che si rivolge Bernard: il cinema muto per Auber, quello anni '60 per Massenet e quello anni '30 per Puccini. E sebbene il progetto Manon Manon Manon sia stato inaugurato a inizio ottobre con l'opera di Puccini e sia tornata indietro con Massenet e infine con Auber, per una più corretta visione storiografica si darà conto negli articoli che seguiranno delle tre produzioni in ordine cronologico, alla scoperta di una Manon che, nelle parole di Bernard, «dev'essere una sola, uno spettacolo in tre serate con un filo conduttore che le accomuna».
Christian Speranza
27/10/2024
La foto del servizio è di Ranella&Giannese - Fondazione Teatro Regio di Torino.
Ricordo di Domenico De Meo
Da sinistra: Flaminia Belfiore, Antonio Fiumefreddo e Domenico De Meo.
Nato a Catania il 22 febbraio del 1928 nella casa al primo piano di Via Ventimiglia n. 280, Domenico De Meo si diplomò brillantemente in pianoforte presso il Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli e successivamente si perfezionò sotto la guida del M° Paolo Denza, esibendosi per illustri istituzioni musicali, operando anche per circa un decennio in qualità di maestro sostituto presso il Teatro Massimo Bellini di Catania. Fu altresì impegnato nell'insegnamento come titolare della cattedra di teoria del ritmo ed estetica musicale all'ISEF di Catania e docente di pianoforte nel corso ad indirizzo musicale istituito dal Ministero della Pubblica Istruzione presso la Scuola Media Statale “G. Leopardi” di Catania, ricoprendo altresì l'incarico di direttore artistico della stagione artistica ivi programmata.
All'attività artistico-didattica presto affiancò anche quella di critico musicale e musicologo, collaborando con articoli e brevi saggi al quotidiano “La Sicilia” ed al mensile “Musica e Dossier”, realizzando anche molti programmi di sala per il Teatro Massimo Bellini di Catania e altre istituzioni nazionali ed estere.
Tra le edizioni filologiche belliniane da lui curate, vasta risonanza internazionale ha avuto il lavoro di ricostruzione, revisione e trascrizione della partitura e del libretto della seconda versione dell'opera Adelson e Salvini in scena al Teatro Massimo Bellini di Catania in prima mondiale assoluta il 23 settembre 1992, in occasione del IV Festival Belliniano. L'esecuzione venne registrata dalla Casa discografica Nuova Era.
Moltissime le sue partecipazioni e interventi in congressi musicologici, fra cui il convegno belliniano di Siena del 2000 e la conferenza belliniana organizzata a Stoccolma dall'Assessorato Regionale alla Cultura nel dicembre 2001. Nello stesso anno riceve il premio “Kaliggi d'Oro” ed il premio “Luigi Capuana” di Acireale patrocinato dal Giornale dell'Etna. Ha redatto anche le note illustrative per la prima esecuzione assoluta degli abbozzi dell'Ernani (opera incompiuta di Vincenzo Bellini), incisi nell'aprile 2003 dalla casa discografica Bongiovanni di Bologna. Nel medesimo CD curato dal target felsineo si trovano anche la Sinfonia dell'incompiuto melodramma ed il terzetto “Ombre pacifiche”.
Nel 2008 ricevette l'ambito premio internazionale Bellini d'Oro assieme a Cecilia Bartoli e Maria Malibran (alla memoria) e nello stesso anno è stato anche insignito della Medaglia al valore del Teatro Bellini di Catania assegnatagli dal Sovrintendente dello stesso, Avvocato Antonio Fiumefreddo. De Meo per l'occasione venne premiato assieme al prefetto di Catania dott. Giovanni Finazzo. Negli ultimi suoi anni di vita ha continuato la sua instancabile attività di filologo belliniano. Si è spento serenamente sulle amate partiture belliniane il 15 ottobre. Con lui il mondo della musicologia perde un personaggio di indubbia rilevanza culturale, mentre chi scrive perde anche un amico fidato, onesto, schietto e corretto!
Giovanni Pasqualino
Giuseppe Perrotta
Recita un'antica sentenza: «Padre Modesto non diventò mai Priore», intendendo con ciò che timidezza e riservatezza, se eccessive e paralizzanti bloccano e impediscono ogni realizzazione pratica ed ogni azione umana. Forse nessuna sentenza è mai stata più pertinente e adatta alla vita e all'opera di colui che fu certo uno dei musicisti più sfortunati della nostra terra e che risponde al nome di Giuseppe Perrotta. Nato a Catania, in via Garibaldi, il 19 marzo del 1843 dall'avvocato Emanuele Perrotta e da Giuseppa Musumeci, il giovane futuro compositore si dedicava alla musica per diletto (la sua formazione fu da autodidatta) e anche per passione, ma per non deludere le aspettative paterne, come tanti figli ubbidienti di quell'epoca, si dedicò agli studi giuridici, laureandosi in legge presso l'Università etnea nel 1862. Nello stesso anno convolerà a nozze con Antonina Ardizzoni Carbonaro, che gli darà due figli. Il suo carattere schivo ed il suo stato di giovane padre di famiglia gli impediranno di viaggiare, a differenza degli amici artisti e letterati suoi conterranei Giovanni Verga, Luigi Capuana, Federico De Roberto, Mario Rapisardi, Francesco Paolo Frontini e soprattutto di promuovere, caldeggiare e divulgare le sue composizioni. Si recò solo una volta a Milano nel 1879, su sollecitazione di Verga e Capuana, ma nonostante le calorose accoglienze ricevute dal mondo musicale ambrosiano ritornò subito nella sua città. In seguito Perrotta rimase vedovo, cosa che presumibilmente gli provocò uno stato di profonda tristezza e depressione. Pertanto si ritirò gli ultimi anni della vita nel suo villino di Cibali con i figli e la madre, abbandonando la composizione musicale e morendo suicida nel 1910. Il musicista catanese diede vita a tre opere liriche: Bianca di Lara su libretto di Stefano Interdonato; Il trionfo dell'amore su testo originale dell'omonima fiaba in versi di Giuseppe Giacosa; Il conte Yanno su libretto di Ugo Fleres. Nessuna di queste partiture fu mai rappresentata e certamente anche in questo caso il carattere ostico, poco comunicativo ed austero del musicista avrà avuto il suo peso, assieme certo alla non eccezionale valenza artistica delle opere. Il suo grande e solerte amico Giovanni Verga lo incaricò, certo per aiutarlo e incoraggiarlo, un preludio per piccola orchestra da anteporre al dramma «Cavalleria Rusticana» che andava in scena a Milano, ma la partitura, giudicata di difficile comprensione, venne scartata. Tuttavia l'anno seguente venne riproposta all'arena Pacini di Catania, esattamente il 29 luglio del 1886, ottenendo un buon successo di pubblico e di critica, così come riporta ed evidenzia il Corriere di Catania dell'epoca. Il musicista fu anche autore di musiche da camera, pianistica e vocale.
Il periodico di cultura siciliana «Agorà» ha voluto commemorare alla fine di questo 2010 il centenario della morte del compositore etneo offrendo ai suoi lettori in allegato alla rivista n. 35 un volume biografico ed un CD di sue musiche al prezzo davvero popolare di Euro 7,50. Il libro scritto con estrema cura e perizia da Elio Miccichè si rivela quanto mai esaustivo riguardo non solo la vita e le opere del Perrotta ma anche del milieu artistico e culturale col quale interagì. Il testo si avvale anche di una illuminante prefazione di Roberto Carnevale, il quale coglie acutamente nelle creazioni del «Solitario di Cibali» ascendenze ed arditezze armoniche tipicamente wagneriane. Un ricco apparato epistolare, fotografico ed iconografico, nonché una veste tipografica elegante, rendono la pubblicazione degna di stare nella biblioteca di ogni storico della musica ed appassionato di storia patria.
Il CD contiene 6 Romanze per voce e pianoforte: «Aura», «Gentile», «Idol mio», «Abbandonata», «O fior della pensosa sera» «Cuor morto», «La luna dal rotondo volto», eseguite egregiamente dal soprano Stefania Pistone, accompagnata al pianoforte dalla brava Alessandro Toscano. I pezzi per pianoforte solo: «Ouverture per Cavalleria Rusticana», «Preludio dallo Stabat Mater di Pergolesi», «Preludio in mi bemolle maggiore da Otium», e «Barcarola n. 3 senza parole» sono eseguite con garbo e buon gusto da Mario Spinnicchia.
Giovanni Pasqualino
13/2/2011
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