RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Adriana Lecouvreur

al Teatro Massimo di Palermo

Il compositore calabrese Francesco Cilea venne letteralmente affascinato dalla storia d'amore della protagonista del lavoro teatrale di Eugene Scribe e Ernest Legouvé Adrienne Lecouvreur, vicenda che si intreccia alla vita artistica, politica e culturale settecentesca parigina. Allo scrittore e giornalista istriano Arturo Colautti venne assegnato il compito di trarne un libretto che esaltasse tutti i caratteri della commedia sentimentale piena di risvolti politici, passionali e drammatici. Cilea riuscì felicemente a far coagulare tali caratteri attorno a un'altissima e struggente liricità melodica che rimane ancor oggi il suo più alto contributo all'interno della storia della musica italiana e internazionale. E le pietre miliari di tale capolavoro del genere melodrammatico sono tutte là a testimoniarlo sul campo: Io son l'umile ancella e Poveri fiori di Adriana; La dolcissima effige di Maurizio fino allo splendido monologo dell'innamorato senza speranza Michonnet e al disperato Acerba voluttà della Principessa di Bouillon.

In verità, fin dal suo debutto avvenuto al Teatro Lirico di Milano il 16 novembre 1902, l'opera in quattro atti Adriana Lecouvreur raccolse un successo così clamoroso che continuò imperterrito fino a un rimaneggiamento realizzato dallo stesso autore e proposto al Teatro San Carlo di Napoli nel 1930 che ne confermò ancor più il gradimento, gradimento che continua ancor oggi senza mostrare cedimenti o avvisaglie di una qualche battuta d'arresto.

A confermare tale trionfale marcia di più di un secolo in tutti i palcoscenici del mondo, l'Adriana Lecouvreur è stata proposta nel mese di ottobre al Teatro Massimo di Palermo nell'allestimento del Teatro Sociale di Como (chi scrive ha assistito alla recita del 22 ottobre realizzata dal 1°cast di cantanti). Regia, scene e costumi erano di Ivan Stefanutti, il quale ha spostato l'ambientazione storica del libretto (che data più o meno nella prima metà del 1700) alla fine del 1800. Arredi e costumi da Belle Époque non hanno certo guastato il rendimento complessivo del dramma, anzi ne esaltavano e potenziavano la tinta di coquetterie e di esibizionismo istrionico ed esaltazione della femme fatale. La proiezione sul palcoscenico di una fotografia di Lyda Borelli, stella del nascente cinematografo ma anche espressione di un'ideale di protagonismo, si manifestava come referenziale modello e quasi suggello definitivo di un ideale archetipo di divismo ove l'arista viene guardata e venerata come una divinità inarrivabile e irraggiungibile. Gli arabeschi di luce disegnati da Claudio Schmid esaltavano la sensuale e torbida atmosfera complessiva che si spandeva da tutto il dramma.

Il soprano Angela Gheorghiu, nel ruolo eponimo, ha confermato la sua alta e profonda personalità artistica, profondendosi in una vocalità turgida, penetrante e vibrante di accorato lirismo. Qualche piccolissima defaillance nella zona media, poco incisiva e duttile, non ha certo condizionato la sua eccellente prestazione che nel quarto atto è stata davvero esaltante. Martin Muehle (Maurizio di Sassonia) ha agito e spaziato con padronanza e agevolezza nella sua tessitura, evidenziando uno squillo tenorile di tutto rispetto, pieno, efficace e ben tornito; inoltre i suoi meriti oltre che vocali sono stati anche mimici e attoriali. Il mezzosoprano Marianne Cornetti (Principessa di Bouillon) ha esternato una sonorità potente, acuminata, penetrante e assolutamente in ruolo con il suo irruente, tormentato e demoniaco personaggio. Davvero commovente e piena di pathos l'interpretazione fornita dal baritono Nicola Alaimo del personaggio di Michonnet; egli ha saputo ridefinirne i tratti umani e di grande affezione e devozione verso la protagonista, con una vocalità idonea, calda e piena di grande effusione ed espansione lirica. Buone e appropriate anche le rese sceniche e vocali di Carlo Striuli (il principe di Bouillon), Luca Casalin (l'abate di Chazeuil), Angelo Nardinocchi (Quinault), Francesco Pittari (Poisson). Pertinente e ben calibrato anche l'intervento del coro del teatro preparato con accuratezza da Piero Monti.

La direzione impeccabile, della salda, raffinata e solida Orchestra del Teatro Massimo di Palermo, non sicuramente definibile con parole appropriate, di Daniel Oren, è stata come un fuoco lanciato su un mare di petrolio, ha accesso una gamma caleidoscopica di sonorità che hanno seguito passo dopo passo l'azione scenica, dalla tenerezza raccolta, all'impeto dell'odio funesto, dall'appassionato tremore erotico, alla rassegnata disillusione, per arrivare allo struggente dolore e al silenzio della morte. Limpidezza cristallina di suoni, perfetta resa fonica, dinamica accurata, agogica ineccepibile, espressività superlativa, cesello dei portamenti, questi i tratti di una interpretazione eccellente che il foltissimo pubblico intervenuto (si è registrato quasi il sold out) ha giustamente premiato con acclamazioni di gradimento e fragorosi applausi per tutti gli artisti.

Giovanni Pasqualino

24/10/2017

Le foto del servizio sono di Rosellina Garbo.