RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

À rebours

Al via la stagione 2017/2018 di Lingottomusica Concerti, sempre all'Auditorium Giovanni Agnelli di Torino. Come ogni anno, verranno ospitati diversi interpreti e diverse orchestre di prestigio internazionale, impegnati in programmi interessanti e di sicuro stimolo per addetti ai lavori, melomani o semplici amatori della classica. Ospiti del primo appuntamento, lunedì 30 ottobre 2017, sono stati l'orchestra russa MusicAeterna col suo fondatore e direttore, Teodor Currentzis, e il pianista Alexander Melnikov.

Interpreti e programma decisamente non convenzionali. A partire dalla pur apparentemente convenzionale Sinfonia n°1 in re maggiore Op. 25 (“Classica”) di Sergej Prokof'ev, datata 1917 ma dal sapore rétro: pur settecentesca nella forma – sinfonia in quattro movimenti, col primo in forma-sonata, un secondo movimento lento, una Gavotta e un finale vivace – e nelle dimensioni – un quarto d'ora in tutto e un'orchestra con fiati “a due” –, in essa convivono i dettami di “papà” Haydn e dettagli che qui e là rivelano una scrittura più moderna. Lo stampo haydniano nasconde in realtà una reazione alle accuse di mancanza di ispirazione verso i suoi iconoclasti lavori precedenti, sia per orchestra (Suite Scita Op. 20), sia per pianoforte (Toccata in re minore Op. 11, Sarcasmi Op. 17, Visioni fuggitive Op. 22, ecc). Così, ecco la «risposta pratica di un compositore» (cit.: Šostakovic): un saggio di composizione che sapesse in tutto e per tutto rifarsi alle regole codificate dai maggiori sinfonisti settecenteschi, con però l'impronta di chi vuol distinguersi (similmente, se si vuole, alla Quinta di Schubert…).

Controcorrente anche l'altro brano in programma, la Sinfonia n°9 in mi bemolle maggiore Op. 70 di Dmitrij Šostakovic, del 1945. La seconda guerra mondiale era agli sgoccioli: Stalin, trionfante contro Hitler, aveva chiesto a Šostakovic una sinfonia di vittoria, un inno alla grandezza dell'Unione Sovietica (e alla sua…). Šostakovic sfornò in due mesi una sinfonia tutto meno che grandiosa: una mezz'oretta di musica dai tratti clowneschi, grotteschi, dove si ride per non piangere, dove la grandiosità è fatta oggetto di parodia ironica. A fronte dei due mastodonti gemelli della Settima (la “Leningrado”, scritta sotto le bombe tedesche durante l'assedio) e dell'Ottava (monumento funebre ai caduti di tutte le guerre), la Nona figura come sarcastica presa in giro: abbiamo vinto, sì; ma a prezzo di milioni di vite umane (si pensi anche che è stata scritta nel luglio-agosto del 1945: all'alba dell'era nucleare...). Una vittoria ridicola. Proprio come la Nona. Uno scherzo che sarebbe potuto costare molto caro a Šostakovic, già bollato in precedenza, all'epoca della Lady Macbeth, di essere un compositore sovversivo (benché geniale…). Ben diversa sarà la Decima, altro monumento di sinfonismo (e di nevrosi), scritta a ridosso della morte del dittatore, vera e propria rappresentazione in musica del conflitto Stalin vs Šostakovic, possiamo immaginare con la vittoria di chi. Ma nell'era di relativo sgelo post-staliniano ci fu posto anche per il Concerto per pianoforte e orchestra n°2 in fa maggiore Op. 102, del 1957, dedicato al figlio Maksim per il suo diploma, pagina dove la duplice tendenza di Šostakovic al burattinesco, alla fanfara militare in forma di farsa giocosa da una parte, e all'abbandono lirico dall'altra coesistono, fusi in un'insolita quanto rara composizione da “padre affettuoso-didatta”, sulla scia di Bach e delle sue Triosonate per organo dedicate al figlio Wilhelm Friedemann.

Teodor Currentzis, greco di nascita ma russo d'adozione, spande su questo programma un'insolita ed energica luce giovanile. Il Concerto di Šostakovic si distingue per l'accentuato contrasto fra le pagine iniziale e finale, animate da un vitalismo fin quasi eccessivo, più che nell'agogica, nell'impeto e nella tenuta generale, e quella centrale, un dolce e cullante Andante, dove gli archi diventano soffici e impalpabili cuscini a sostegno della melodia del solista, un tuffo in un'atmosfera onirica e irreale, soprattutto nello sfumare verso il silenzio delle ultime note. Quale contrasto quando attacca il terzo movimento, saltellante nelle sue note che paiono bussare all'orecchio dell'ascoltatore! Alexander Melnokov, da parte sua, contribuisce a fare della serata un evento memorabile. Conoscitore profondo dello Šostakovic pianistico, grazie all'incisione dei Ventiquattro Preludi e Fughe Op. 87, e in perfetta sintonia con Currentzis, il cui sodalizio è saldo e di lunga data (pregevole l'esecuzione del Secondo Concerto di Rachmaninov ritrovata su YouTube, datata 2008), Melnikov offre una lettura equilibrata e gradevole del Concerto, riuscendo a piegare il pianoforte alle diverse esigenze espressive, dai ribattuti dell'Allegro iniziale, squillanti come una tromba militare, ai passaggi quasi chopiniani dell'Andante .

Il piglio brioso di Currentzis investe anche la Prima Sinfonia di Prokof'ev, dove le dinamiche e l'agogica raggiungono livelli decisamente eccessivi per un lavoro, che, si è detto, vuole rifarsi apertamente al Settecento. Ma sono interpretazioni, e sarebbe interessante riascoltare lo stesso brano diretto dallo stesso direttore fra una decina d'anni. Questa condotta ipereccitata non dispiace per l'Allegro iniziale e per il Finale – Molto vivace, ma non pare così opportuna per l'Intermezzo – Larghetto (il cui inizio rammenta il ritornello di Vacanze romane dei Matia Bazar!).

Discorso a parte merita la Nona di Šostakovic, forse il brano dove Currentzis e la MusicAeterna possono sfoggiare al meglio le loro potenzialità e le diverse sonorità. I diversi sforzati e i passaggi stridenti sono resi con graffiante precisione, e viene proprio da pensare che in questa sinfonia si debba essere allegri senza un perché. Al Moderato, il clarinetto solista scivola su archi lividi e sornioni, tutto l'opposto della festosità di facciata dell' Allegro che lo precede. Il Presto che lo segue viene reso in modo chiassoso, del modo tipico di chi grida perché non ha niente da dire, prima che il Largo, imperioso e perentorio, a suon di tuba e tromboni all'unisono (ecco finalmente un accenno dello Šostakovic drammatico dell'Ottava!), ponga fine al frastuono. Ma è nell'Allegretto conclusivo che l'effetto allucinatorio raggiunge il culmine, in cui si ha l'impressione di vedere maschere storpiate, distorte, danzanti in una luce spettrale.

A chiusura del concerto, un encore di tutta l'orchestra: l'Amoroso dal balletto Cenerentola Op. 87 di Prokof'ev, ricamato da due scale di pianoforte, questa volta concertante, eseguite da Melnikov. E, a dispetto di tutte le originalità di questi interpreti, dall'orchestra che ha suonato tutta la serata in piedi, alla moda di alcune orchestre barocche (violoncellisti a parte, per ovvie ragioni…), del biondo violino di spalla ballerino iperattivo, un Currentzis dai lunghi capelli lisci alla Liszt, tutto in nero ma con jeans attillati e stringhe rosse alle scarpe, ha fatto una cosa che quasi mai si vede fare: ha chiamato uno a uno i solisti della sua orchestra – fagotto, clarinetto, flauto, ottavino, tromba, tromboni, tuba e primo violino – e li ha fatti scendere di fronte al pubblico, come fossero le star della serata, a ricevere il loro meritato (ed entusiasta) applauso: a riconoscenza del fatto che un'orchestra è fatta sempre e comunque di persone. Quante volte ci capita, alla fine di un concerto, di applaudire il direttore e non rivolgere più che uno sguardo d'insieme ai cinquanta-ottanta esecutori dietro di lui?

Christian Speranza

5/11/2017