Dresda
Indimenticabile Lohengrin
Questo Lohengrin è stato probabilmente lo spettacolo lirico più atteso dell'anno e forse è ancora più probabile che diventi un vero avvenimento, e comunque si tratterà d'ora in poi di una versione di riferimento perchè i risultati risultarono superiori alle più audaci scommesse. Sembra perfino strano che tutto si sia trovato nel suo più giusto posto, compresa l' archeologico allestimento (trentatré anni sono oggi il pleistoceno per tanti) di Christine Mielitz, che pareva invece nata ieri. Molto molto tradizionale – e per me non c'è l'orrore che per alcuni ha questa parola – poneva ben a fuoco i personaggi e i rapporti tra di loro senza metterli in situazioni impossibili e soprattutto narrava chiaramente la storia; c'era perfino il cigno le due volte che viene richiesto, e non sembrava qualcosa di ridicolo o d'improbabile. I costumi, sotto i sontuosi manti medievali erano, per gli uomini, quelli della Grande Guerra, ma non davano nell'occhio. Non era certo il principale fattore del successo (come non dovrebbe essere mai, secondo me, un allestimento), ma non l'ostacolava nè lo rovinava come tante altre volte.
E passiamo, come di dovere, al primo degli elementi d'importanza. La direzione e concertazione veniva affidata al grande Christian Thielemann, che ha poi un rapporto privilegiato con la sensazionale Staatskapelle di Dresda: lo sfoggio di metalli sul palcoscenico e in due palchi – buca dell'orchestra a parte – era solo inferiore al livello di esecuzione. Anziché andare alla ricerca di elementi ‘nuovi', ‘originali' o ‘sofisticati', c'era un dialogo assolutamente scorrevole che teneva sempre in conto anche il palcoscenico, con una multitudine di sfumature e dettagli che dimostravano una buona volta che Wagner non scriveva solo ‘forte', ma poteva invece essere anche intimissimo.
Senza la presenza di Thielemann sarebbe stato molto difficile vedere nei panni del protagonista Piotr Beczala, di linea purissima, timbro bellissimo ma quando ci voleva con anche un'energia che veniva naturalmente dalla sua voce lirica senza mai spingere – un sogno il suo grande racconto, ma anche le altre pagine e in particolare il grande duetto dell'atto terzo. E nessuno meglio di Thielemann per il debutto nel suo primo ruolo in tedesco e per di più un lungo Wagner di Anna Netrebko, che cantava e interpretava con la solita spontaneità e come se si trattasse della cosa più facile del mondo, in grado di ‘raccogliere' una voce che qualche volta sembrava troppo scura e perfino di grandissimo volume per il ruolo di Elsa von Brabant.
E siccome nessun titolo lirico finisce con i ‘divi' ma ha bisogno di ben altro, va senza dubbio lodato il lavoro dei ‘coprotagonisti': A cominciare dalla perfida Ortrud di Evelyn Herlitzius, grande artista anche quando non canta – e per questo ruolo non è fondamentale una voce bella, e si accettano anche degli acuti metallici, per seguire con la scelta di Georg Zeppenfeld, un Re Heinrich che non sarà un cannone ma che si sente perfettamente, ha un bel timbro, omogeneità di registri ed è un artista molto partecipe. Si potrebbe magari pensare a un altro Telramund che non quello di Tomasz Konieczny (la frequentazione di troppi ruoli pesanti ha sicuramente a che vedere con un grave poco bello), ma anche in questo caso il ruolo può perfino trarre vantagio da questa limitazione. Derek Walton è cantante giovane e sicuramente il suo Araldo suonerà in futuro con più spessore e qualche acuto gli verrà meglio, ma quanto ha fatto (anch'esso senza pronunciare una parola) è più che sufficiente. I comprimari erano tutti molto bravi.
E così quattro ore sono passate in fretta e c'era chi ne avrebbe voluto ancora di più – e difatti si era arrivati al ‘tutto esaurito' mesi fa con delle persone che si sono trattenute per più di una recita). Un pubblico esemplare che quasi non fiatava, spegneva i cellulari prima di ogni atto, rispettava la musica finchè il maestro non indicava che si era alla fine, rispondeva con un calore tutto ‘latino': ovazioni a non finire, bravi stentorei, sicuramente insufficienti per dare un'idea dell'importanza di quanto visto e sentito.
Jorge Binaghi
30/5/2016
Le foto del servizio sono di Daniel Koch.
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