RECENSIONI
-

_ HOMEPAGE_ | _CHI_SIAMO_ | _LIRICA_ | _PROSA_ | _RECENSIONI_| CONCERTI | BALLETTI_|_LINKS_| CONTATTI

direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

9/4/2016

 

 


 

Circensi, intellettuali, emarginati

Nel circo, si sa, quando cade l'acrobata entrano i clown. Difficile però dire chi sia il trapezista, e chi invece i pagliacci, sotto il tendone di Der junge Lord, dove tutti – retrivi e progressisti, omologati e “diversi” – confluiscono in un malessere sociale che tritura ogni ontologia. All'intellettuale e all'idealista resteranno, rispetto agli altri, le consolazioni della burla e del paradosso: ma null'altro. Di più, l'etica di Hans Werner Henze non consente.

Non dimostra certo i suoi cinquantaquattro anni questa “opera comica in due atti” su libretto di Ingeborg Bachmann, spesso cantrice di un Io femminile devastato (si pensi a quel magnifico, terribile romanzo che è Malina ) e qui impeccabile commediografa satirico-farsesca. Lo spunto prende le mosse dalla novellistica tedesca dell'Ottocento (una “parabola” di Wilhelm Hauff), ma, senza andare così indietro, già il Britten di Albert Herring – che precede di poco meno d'un ventennio Der junge Lord – è un palpabile modello: qui come là un microcosmo provinciale popolato da una borghesia perbenista e ottusa, incapace di comprendere le ragioni di chi pensa con una testa appena un po' più libera (pur con la differenza, sostanziale, che Britten metteva alla berlina i suoi connazionali, mentre in Henze è proprio un Sir inglese a demistificare la farisaica comunità tedesca dove ha preso alloggio).

Tuttavia, se Britten s'identifica col suo risibile e martoriato protagonista, Henze non si riconosce in un personaggio particolare. Se in Albert Herring i bambini rappresentano l'unico spiraglio di purezza, nel Junge Lord i frugoletti sono solo gli adulti di domani, infidi come i loro genitori e con, in più, tutta l'inesorabilità dell'infanzia. E se il compositore inglese concentra l'amarezza del suo sorriso su un devastante moralismo sessuale, Henze e la Bachmann – meno teatrali, più concettuali, meno narrativi, più ideologici – edificano una metafora di ogni pregiudizio (e ogni possibile angoscia che ne deriva), costruendo una storia che sembra uscire dritta dritta da questo nostro primo scorcio di ventunesimo secolo: si parla di razzismo verso i neri, in Der junge Lord, e di migranti salvati da un naufragio. Si parla di odio verso gli artisti (e poco importa che si tratti di quelli più ai margini della società, come appunto i circensi). Si parla di diffidenza verso gli intellettuali, anche se il termine dispregiativo radical chic non era stato ancora sdoganato.

Quest'allestimento al Gaertner Platz Theater di Monaco (il secondo palcoscenico operistico della capitale bavarese, chiuso per alcuni anni e ora restituito alla città assieme all'omonima piazza, anch'essa restaurata, su cui si affaccia) a sua volta allarga l'orizzonte delle intolleranze prossime e remote, facendo del segretario del Sir inglese un omosessuale: sovrappiù che forse banalizza un personaggio d'ineffabile – anziché esplicita – ambiguità, all'interno però di una regia molto ben ritmata e calibrata. Da tempo ritiratasi dall'agone canoro, Brigitte Fassbaender è rimasta nel mondo dell'opera in qualità sia di direttrice artistica sia, appunto, di regista; e questa sua messinscena restituisce quell'impeccabile senso del dettaglio che caratterizzava la Fassbaender mezzosoprano, anche grazie al lavoro di cesello sulla recitazione (poteva d'altronde contare su un gruppo di ottimi cantanti-attori) e al sapiente bianco e nero dei video di Raphael Kurig e Thomas Mahnecke, che contrappuntano i rapidi intermezzi tra un quadro e l'altro.

Anthony Bramall dirige la puntualissima orchestra del teatro (ma altrettanto appiombato è il coro e più ancora, forse, quello di voci bianche) con verve stringente appaiata a precisione millimetrica: la fusione concepita da Henze tra piccolo organico ottocentesco e un pervasivo ampio numero di percussioni viene restituita in tutta la sua dialettica classico-moderna, mentre il lascito di certi capisaldi dell'umorismo operistico – il gruppo di ruoli maschili che si fronteggia polifonicamente con un gruppo femminile discende dal Falstaff, certe scoppiettanti acidità ritmiche dall' Amore delle tre melarance – appare tangibile senza compiacimenti citazionistici. Tutto senza dimenticare l'equilibrio con il palcoscenico, servito da artisti uno più idiomatico dell'altro.

Sarebbe grave errore sottovalutare l'importanza, e la difficoltà, della scrittura vocale in Der junge Lord. Alle prese con un libretto che è un florilegio di omaggi all'opera italiana, Henze ricrea certe fisionomie del nostro melodramma: dalla contrapposizione tra un denso soprano lirico (la problematica Luise, qui sostenuta dalla matura e concentrata Mária Celeng) e un più rarefatto soprano leggero (la frivola Ida, spumeggiante nell'interpretazione di Ilia Staple) a quella tra un tenore “amoroso” e “centrale” (ben servito dal pudico ma risentito Lucian Krasznec) e un tenore acutissimo, quasi sovrumano se non fosse subumano. Il giovane Lord del titolo, infatti, altri non è che l'umanoide – e non a caso insignito del nome di Adamo – scimmione del circo, in grado di vestire panni nobili e imparare poche frasi a memoria: Brett Sprague ne fa una creatura memorabile, disperata nelle sue urla stratosferiche, a mezza strada tra il messia e l'artista incompreso come un Parsifal o un Tannhäuser postmoderni.

Il segretario è baritono ora conversativo ora declamatorio, che deve farsi portavoce del Sir inglese (enigmatica presenza muta, nel libretto): con uno spessore timbrico maggiore, Christoph Filler – baritono fin troppo tenoreggiante – avrebbe forse configurato più plasticamente il ruolo. Ai lati, una moltitudine di comprimari sapidissimi: dalla baronessa di Ann-Katrin Naidu (contralto con parodistici salti in acuto, fu Fedora Barbieri nell'unica esecuzione italiana dell'opera) al sindaco goffo e infoiato, rigorosamente in chiave di basso, di Levente Páll; da quella sorta di Heldentenor dei poveri che è il domatore del circo (Alexandros Tsilogiannis, querulo o svettante secondo necessità) alla moglie del notabile, maligna dietro la facciata bonaria, di una Jennifer O'Loughlin tanto morbidona nelle forme quanto grifagna nella sostanza.

Paolo Patrizi

18/6/2019

La foto del servizio è di Christian POGO Zach.