Bergamo Musica Festival Gaetano Donizetti
Lucia di Lammermoor
Il Bergamo Musica Festival Gaetano Donizetti si aperto con Lucia di Lammermoor, la più celebre ed eseguita opera del compositore locale. Sulla scelta del titolo si potrebbe aprire un lungo capitolo, pensando che Bergamo abbia l'ambizione di diventare la Pesaro Rossiniana o la Bayreuth Wagneriana, ma tralasciamo. Il catalogo di Donizetti è lunghissimo e molti titoli mancano ancora all'appello, o rappresentati in occasionali esecuzioni. E' comprensibile, e sotto taluni aspetti logico, che a seguito della nuova edizione critica curata da Gabriele Dotto e Roger Parker, il Festival abbia voluto rappresentare Lucia come non l'avevamo mai ascoltata, o almeno in parte. Così sono stare ripristinate le tonalità originali, esecuzione con strumenti della prima, tromboni e corni (salvo errori di chi scrive), l'uso della glassarmonica nella celebre scena della pazzia, la quale è stata riscritta con un'aderenza più stilistica e drammaturgica rispetto alla prassi abituale. Tale operazione richiederebbe una produzione di livello, cast, direttore, allestimento, anche per rafforzare il lavoro compiuto dai musicologi, e per offrire una performance tale da rafforzare ancor più tutto il lavoro e l'esistenza stessa del Festival. A Bergamo non abbiamo goduto di tutto questo ma solamente di una sommaria produzione, purtroppo con molte ombre, salvo aver ascoltato l'edizione critica citata. Si potrebbe pure auspicare e suggerire che sarebbe meglio una sola produzione donizettiana annuale più curata in tutto, piuttosto che le consuete due, o meglio tre come quest'anno, nel quale assisteremo anche a Betly e Torquato Tasso.
La scena di Angelo Savi era molto pertinente e spettacolare, egli ha ricreato una Scozia non da cartolina ma cruda e violenta come storicamente appare nel romanzo di Scott. I nobili attorno agli Ashton sono alteri e crudeli anche per la situazione politica incerta del momento, cui si aggiunge un'affascinante situazione tenebrosa e nebbiosa. L'impianto è costituito da un circolare rotante che nel suo movimento crea le diverse scene dell'opera. Funzionale e semplice ma di alto valore drammaturgico che non sconfina nel moderno, tanto in voga oggi. Manca invece una vera lettura registica, Francesco Bellotto sì limita a muovere senza particolare cura la macchina, ma non crea mai un momento di vera tensione, spettacolarità, drammaticità, ma anche lui non forza la mano con scelte cervellotiche; avrebbe comunque potuto collaborare con maggior efficacia con Claudio Schmid, progettista luci, per rendere una visione più personalizzata e meno banale. Costumi piuttosto anonimi, di Alfredo Corno, i quali parevano rifacimento o riciclo di precedenti produzioni.
L'orchestra del Bergamo Festival non ha mai brillato per particolare efficacia ma in quest'occasione era inferiore alle sue precedenti esibizioni. Numerose mancanze nel settore ottoni e soprattutto corni, cui si aggiunge un non omogeneo suono complessivo, talvolta sordo, spesso sfasato. Lavoro che non è riuscito a risolvere il maestro concertatore e direttore Roberto Tolomelli, al quale va riconosciuto solo il merito di aver tenuto in discreto equilibrio buca e palcoscenico, però a discapito di una lettura romantica e drammatica per eccellenza, adagiandosi sempre su tempi lentissimi e sfiniti, sonorità talvolta eccessive e nei momenti opportuni privi di tensione.
Anche il cast radunato per l'occasione non figura ai livelli meritevoli dell'operazione. Sarebbe stato il caso di non affidare ad una semi debuttante il ruolo della protagonista. Bianca Tognocchi ha anche delle qualità rilevanti ma a chi scrive è parso che il ruolo sia ancora troppo acerbo per i suoi mezzi che sono da raffinare. Il soprano si cimenta nel ruolo con il suo apparato tendente al lirico piuttosto che alla consueta prassi della cantante d'agilità, e questo secondo la visione filologica è corretto, ma alla cantante manca una scansione drammaturgica del ruolo, accenti e colori appropriati, oltre ad una padronanza sicura nel registro acuta. Riprendendo il concetto sopra espresso mi riservo e auspico di ascoltarla in futuro in altri ruoli.
Note ancora meno positive per l'Edgardo di Raffaele Abete che dimostra ancor più evidenti limiti tecnici e una cifra stilistica oltre il limite dell'accettabile. Difetta sia nella zona acuta, talvolta nell'intonazione ma soprattutto nel fraseggio dell'innamorato, e anche se nella grande scena finale ha dimostrato qualche barlume di pertinenza, non si può parlare di prova riuscita. Invece, Christian Senn avrebbe anche le caratteristiche per interpretare un buon Enrico, tuttavia sceglie la strada del baritono truce e violento, dimenticando la nobiltà d'accento del baritono belcantista. Avrebbe anche le qualità per tale operazione ma a Bergamo abbiamo ascoltato un cantante solido e abbastanza preciso, ma che stilisticamente ci riporta agli anni '50 del secolo scorso (salvo rare eccezioni). Piuttosto scialbo il Raimondo, anche volenteroso, di Gabriele Sagona, cantante e ruolo da perfezionare maggiormente. Leggermente stentoreo e non ben equilibrato l'Arturo di Riccardo Gatto, sufficienti il Normanno di Francesco Cortinovis e l'Alisa di Elisa Maffi.
Il Coro del Bergamo Festival, istruito da Fabio Tartari, si è espresso in una prova onorevole, ma l'ho sentito far molto meglio. Nel complesso un'occasione mancata, anche se al termine non sono mancate ovazioni da parte del folto pubblico, per un Festival che avrebbe l'ambizione di rivalutare e riproporre il compositore bergamasco sotto nuova luce in virtù dell'edizione critica, e senza togliere nulla all'impegno e alla volontà dei cantanti, per tali operazioni sarebbero necessarie compagini di tutt'altra caratura.
Lukas Franceschini
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