RECENSIONI
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Madrid

Completissima Lucia

Daniel Oren apriva tutti i tagli, cosa buona in sé e per sapere, ad esempio, che la piccola scena dopo la pazzia può tagliarsi perfettamente senza che nulla vada perduto; anzi... Difatti funziona come anticlimax, cosa che dal punto di vista drammatico non va bene, se poi la regìa fa le cose in modo contrario al libretto non ne parliamo... L'allestimento per la regia di David Alden (originario dall'English National Opera) aveva tutti gli elementi delle produzioni di questo regista: grande tensione, arbitrarietà inutili, alti e bassi uno accanto all'altro, molto (troppo) lavoro sui personaggi. La scena unica – siamo alla fine dell'Ottocento e agli albori del Novecento visto il sistema di riscaldamento di un'unico palazzo un po' malmesso, e anche Normanno che potrebb'essere Sherlock Holmes o un alto funzionario – cambia le prospettive e c'è una smania per fare che gli uomini entrino dalle finestre (civilmente o con un grande fracasso). Alisa è presente quasi sempre e non si capisce troppo bene cosa faccia, dato che a momenti si mette a mimare o accompagnare le azioni di Lucia. Raimondo ed Enrico entrano molto prima che la loro presenza venga richiesta o restano seduti quando devono partire. La complessità psicologica del ruolo del baritono è enorme ed esagerata. Va bene che si dia all'alcool, che abbia un tormentato comportamento nei rapporti familiari, sia coi vivi che coi morti (i ritratti degli antenati che circolano o si appendono alle pareti stancano parecchio), perfino che i suoi sentimenti verso la sorella siano ambigui, ma finire il grande duetto del secondo atto introducendo la mano sotto la sottana di Lucia proprio quando arriva il sovracuto del soprano mi pare eccessivo e poi è un gesto isolato e in quanto tale gratuito. Invece il personaggio di Arturo come un nobile orgoglioso e piuttosto sprezzante viene molto bene. Altrettanto interessante è la scena della pazzia come rappresentazione teatrale (con tanto di sipario) e il coro seduto e plaudente ma a ritmo esageratamente lento. Non altrimenti la scena di sortita del soprano dove canta la cabaletta sul palcoscenico e si diverte con le bambole e l'orsacchiotto – con il quale e con una delle bambole si consola anche Enrico in più di un trenino e una trottola.

Oren concertava bene ma i tempi erano o troppo lenti o troppo contrastati (certe cabalette lentissime) ma per fortuna in quest'occasione si tratteneva e non canticchiava ad alta voce. Bene l'orchestra e vanno citati sia la brava arpista che l'interprete dell'armonica di vetro Sascha Reckert. Molto bene il coro preparato da Andrés Máspero con la solita competenza. Due erano le compagnie tranne che per i ruoli minori: Alejandro del Cerro corretto Normanno, discreta Marina Pinchuk come Alisa e molto bene Yijie Shi (Arturo).

Lisette Oropesa veniva accolta trionfalmente. È molto brava, diligente come attrice, ha ottimi trilli e messe di voce ma non ho trovato una grande personalità, il grave è scarso e poco bello, e il timbro è quello di una soubrette che ha cambiato repertorio. Venera Gimadieva aveva un buon successo e, a mio parere, aveva una voce più bella e adeguata alla parte.

Javier Camarena cantava Edgardo al suo solito altissimo livello, ma la scena del sestetto, imprecazione e concertato per il momento non è nelle sue corde. Sovracuti favolosi nei duetti con soprano e baritono e una scena finale splendida fanno sperar bene, ma certi personaggi per il momento sarebbero da frequentarsi con precauzione. Ismael Jordi dimostrava di aver ulteriormente approfondito la sua tecnica e adesso il suo Edgardo aveva delle mezzevoci bellissime e un grandissimo aplomb sul palcoscenico, compresa la temibile gonna scozzese – non ho capito se Edgardo fosse un nazionalista perchè tutti gli altri sono dei perfetti inglesi o in abiti neutrali.

Artur Rucinski è un interprete intenso (troppo; anche lui tende ad esagerare) e un bravo cantante ma il suono resta parecchio in gola: un acuto splendido nel duetto con Edgardo è stato l'unico che metteva in rilievo una voce che non trova quasi mai la forma di liberarsi. Anch'esso enorme successo. Personalmente, e benché la voce abbia perduto un po' di volume e il grave risulti troppo aperto in certi momenti (sono passati i tempi dei baritoni veristi e tonitruanti nel ruolo di Enrico o altri simili del belcanto), ho trovato più interessante come scuola di canto (l'artista pareva alquanto impacciato) Simone Piazzola. Roberto Tagliavini ha una grande esperienza e un suono delle volte fisso nel suo Raimondo. Voce più fresca e flessibile e minore esperienza teatrale erano le armi di Marko Mimica.

Jorge Binaghi

26/6/2018

La foto del servizio è di Javier del Real.