RECENSIONI
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Toulouse

Amor violento…

Ancora oggi non è facile trovare dei teatri che si assumano il ‘rischio' di riproporre quel capolavoro di stringatezza ‘preverdiana' che è la Lucrezia Borgia di Donizetti, che ormai dovrebbe far parte del repertorio normale di qualsiasi teatro nonostante le difficoltà musicali, che non sono poche. Complimenti ancora, dunque, al Capitole di Toulouse per averci pensato e per aver preparato un allestimento serio e ben curato anche se i risultati non sono stati sempre all'altezza dello sforzo e del titolo.

Debuttare il ruolo della protagonista nel momento di maturità di una carriera può sembrare azzardato, ma non è la prima volta che succede a una virtuosa liricoleggero di cimentarsi con un ruolo in principio ostico quando crede di essere preparata e di avere un po' più di spessore nella voce. Annick Massis non canta tantissimo, nemmeno in Francia, ma quando lo fa è sempre una garanzia. Non è stata forse questa Borgia allo stesso livello della sua notevole Hélène nella Jérusalem al Festival Verdi di Parma, ma non si è trattato neppure di un incontro mancato. Interpreta bene il suo personaggio: la voce ha certo un centro più corposo anche se opaco, l'estremo acuto è sicurissimo come le agilità e le messe di voce e anche se ci vorrebbe un po' più di grave l'artista ha il buon gusto di non vociferare, parlare o mi si passi il termine ruttare le note. Se poi il volume in qualche momento latita non è stata, mi pare, tutta responsabilità sua. Giacomo Sagripanti, che è un maestro che finora mi è sembrato molto a posto, portava tutta la prima parte (prologo e atto primo) a un ritmo più che incalzante e in molti momenti rumoroso. Per fortuna dopo l'intervallo ricompariva il maestro che mi aveva fatto impressione in altre occasioni.

Il tenore Mert Süngü ha una bella voce lirica ma ancora spinge un poco senza alcun bisogno. Per fortuna abbiamo potuto sentire l'aria composta da Donizetti per il grande Mario nel 1840 all'inizio del secondo atto, Anch'io provai le tenere smanie, molto più rara di quella concepita per Ivanov due anni prima e oggi famosa T'amo qual s'ama un angelo. Invece non abbiamo avuto la pagina composta per Moriani, il tenore della bella morte, nel finale dell'opera (Madre, se ognor lontano). Il baritono Andreas Bauer Kanabas (Alfonso) ha molta voce e poco più. Il mezzosoprano Eléonore Pancrazi era Maffio Orsini; voce troppo leggera e piccola per un ruolo pensato per la Brambilla: non la si sentiva in parecchi momenti e il registro grave era piuttosto inesistente. Non so se il comportamento troppo femminile sia stato voluto per aggiungere un altro tratto ai sentimenti che il personaggio pare abbia nei confronti di Gennaro. Gli altri ruoli erano ben distribuiti, in particolare il Rustighello del tenore Thomas Bettinger.

La regia di Emilio Sagi (lo spettacolo era nato a Valencia) era corretta e tradizionale, con scene spoglie (le migliori quelle del palazzo di Alfonso a Ferrara) e un tantino povere per il prologo e la fine (Llorenç Corbella) e bei costumi di Pepa Ojanguren. L'orchestra suonava bene e il coro, istruito dal maestro Alfonso Caiani, cantava in modo molto partecipe anche se qualche volta alquanto tonitruante. Bel successo e parecchio pubblico.

Jorge Binaghi

7/2/2019

La foto del servizio è di Patrice Nin.