I cavoli a merenda di Windsor
Die lustigen Weiber von Windsor a Liegi
Otto Nicolai, chi era costui? Per cominciare, merita di essere ricordato quale fondatore dei Wiener Philarmoniker nel 1842, cioè di una tra le più prestigiose orchestre tuttora esistenti (tra i numerosi direttori illustri avvicendatisi alla sua guida, basti ricordare un certo Gustav Mahler, che la diresse dal 1898 al 1901).
Carl Otto Ehrenfried Nicolai (1810-1849) era concittadino del filosofo Immanuel Kant, ma all'epoca la loro città natale si chiamava ancora Königsberg (quando, dopo la seconda guerra mondiale, se ne sarebbe impadronita la Russia, le avrebbe imposto il nome attuale: Kaliningrad). La sua esistenza non fu facile. Abbandonato dalla madre poco dopo la nascita, tiranneggiato dal padre, musicista e direttore d'orchestra alcolizzato, fuggito di casa a 16 anni, il giovane prussiano riuscì, grazie ai buoni maestri e ai multiformi talenti, ad affermarsi di volta in volta in Germania, in Italia, in Austria. Nel 1829 prese parte a Lipsia alla storica riscoperta della Matthäus-Passion di Bach voluta da Mendelssohn. Fu però in Italia che scoprì la vocazione di compositore d'opera. Se oggi la fama di operista di Nicolai è legata per l'essenziale a Die Lustigen Weiber von Windsor, bisogna riconoscere che Il Templario (Torino 1840) - sua più fulgida creazione del periodo italiano - ebbe per un buon trentennio una notevole diffusione anche sulle scene italiane più periferiche. Per nostra fortuna questo Templario (tratto dall' Ivanhoe di Walter Scott, che aveva già ispirato Pacini e Marschner) è stato meritevolmente riscoperto nel 2008 a Chemnitz e nel contempo registrato in CD (e, grazie ai CD, sono disponibili all'ascolto numerose edizioni delle Lustigen Weiber nonché, tra le composizioni sacre, la Messa in Re maggiore).
Praticamente coeve di quell'altro celebre Singspiel, che è la maliosa Martha di Friedrich von Flotow (Vienna 1847), ormai quasi scomparsa dai teatri, Die Lustigen Weiber von Windsor, su libretto di Salomon Hermann von Mosenthal (1821-1877), andarono in scena all'Hofoper di Berlino il 9 marzo 1849. Ma il trentottenne compositore sopravvisse di appena due mesi al trionfo del suo capolavoro.
La fonte è la commedia The Merry Wives of Windsor di William Shakespeare, pubblicata nel 1602, ma forse anteriore di almeno un lustro. Tuttora fresca, cattivante, impertinente e irriverente, è abilmente condotta a vari livelli e in vari registri, secondo le situazioni e i personaggi. Dai maldestri tentativi, sistematicamente coronati da sollazzevoli fiaschi, da parte dell'anziano Miles gloriosus John Falstaff - libertino impenitente, beone inveterato e in permanenza squattrinato - di far breccia nei cuori di due appetibili comari, munite entrambe di legittimo consorte, allo scopo soprattutto di attingere alle rispettive ben fornite borse e di arginare in tal modo la catastrofica bolletta, ai macchinosi stratagemmi messi in atto da uno dei gelosi mariti, all'idillio, sotto il tetto dell'altra coppia, tra Anna e Fenton - lei probabilmente neanche quindicenne, lui tutt'al più diciassettenne - che volgerà a un happy ending durante la festa organizzata nel bosco per smascherare Falstaff, frustrando così i fermi propositi dei genitori della ragazza di accordare la mano di Anna ciascuno a uno spasimante diverso, l'uno non meno goffo e ridicolo dell'altro.
Il buon libretto di Mosenthal si attiene più o meno al tracciato shakespeariano, pur con qualche indispensabile scorciatoia e col ribattezzare alla tedesca alcuni personaggi, travasando destramente in una sciolta versificazione la freschezza e la vivacità della commedia seicentesca.
L'edizione delle Lustigen Weiber, a cui ho assistito il 7 febbraio al Théâtre Royal di Liegi (ultima rappresentazione), è il frutto di una coproduzione dell'Opéra de Wallonie con l'Opéra de Lausanne, la città svizzera che l'ha ospitata in precedenza l'anno scorso. La regia di David Hermann è stata salutata in termini più che favorevoli tanto da “ La Libre Belgique” che da “Le Soir” (i due principali quotidiani brussellesi francofoni), elogi che ho il vivo rincrescimento di non condividere affatto. Non è tanto il posticipare ai nostri giorni l'azione, che di per sé può essere plausibile, quanto il flagrante tradimento della lettera e dello spirito del Singspiel di Mosenthal e Nicolai, lo sforzare la vicenda per farla combaciare alla meno peggio con la propria impostazione scenica, che reputo inaccettabile, da parte di un ennesimo regista guastamestieri, che vuole “salvare” l'opera, modernizzando e attualizzando la trama del libretto, al quale tanto per non cambiare presta scarsa attenzione, intrufolandovi malabilmente corpi estranei ingombranti quanto superflui.
È così che John Falstaff perde del tutto la sua ampia consistenza corporea, per ridursi a un fantasma che ossessiona mogli insoddisfatte e mariti gelosi da telenovela, che faranno ricorso a un insipido psichiatra recitante, in scene aggiunte non previste da Mosenthal. E alla telenovela infatti si addicono la funzionale e sobria scenografia di Rifail Ajdarpasic e i costumi di ordinaria amministrazione di Ariane Isabell Unfried. Il seduttore da bettola lo si vedrà in ogni caso sulla scena, ma sempre trasparentemente velato e con quasi niente addosso. E se è un fantasma, chi ha scritto le lettere alle due comari? Con chi finge di complottare allora Herr Fluth (il Ford shakespeariano) per scoprire se la moglie gli è infedele? La festa féerique del quadro finale si conclude con la bella invenzione di una rissa collettiva fra coppie, che se le suonano di santa ragione, e si perde in pratica l'happy ending di Anna e Fenton.
Per fortuna rimane la musica! Si ravvisa in questo cattivante Singspiel un'eleganza mutuata dalla frequentazione del belcanto romantico italiano, a cui ben si accompagnano l'agile padronanza della strumentazione germanica con una ricca invenzione melodica, suadente e calzante ora sul versante comico ora su quello sentimentale. Christian Zacharias conduce a buon porto l'Orchestra dell'ORW, che si fa valere già nella sognante ouverture dalle inconfondibili tinte pastello e dalla magica atmosfera. La compagnia di canto è robusta e ardimentosa oltre che calata con convinzione nei rispettivi personaggi. Franz Hawlata è basso di lusso nel ruolo del “fantomatico” Sir John, che gli è familiare, mentre i due mariti, Herr Fluth e Herr Reich (cioè il padre di Anna), sono sontuosamente serviti dai bassi-baritoni Werner van Mechelen e Laurent Kubla.
Nel trio delle donne spicca il timbro luminoso e la tecnica agguerrita del soprano Anneke Luyten, una mordace Frau Fluth, che è ben secondata dall'esuberante mezzo soprano Sabina Willeit, quale Frau Reich, l'altra temibile comare. E non sfigura affatto nei panni (ridotti nella scena della piscina a un suggestivo bikini) della bricconcella Anna l'aggraziato e vivace soprano Sophie Junker, a cui fa compagnia il più che promettente tenore Davide Giusti (Fenton) per rendere fresca e credibile la coppia dei giovanissimi innamorati.
Completano il cast, con onorevole prestazione, i due buffi e sfortunati pretendenti di Anna, cioè il baritono Patrick Delcour (Dr. Cajus) e il tenore Stefan Cifolelli (Junker Spärlich). Le pagine solistiche, i duetti e gli insiemi nonché il poderoso concertato (abbastanza all'italiana) del Finale Primo hanno reso onore al capolavoro di Nicolai con l'indispensabile contributo del Coro della Casa affidato alle solerti cure di Marcel Seminara (che a Catania qualcuno ricorda ancora, come lui - così mi ha dichiarato - non dimentica Catania ).
Degli attori che recitano nei ruoli dello psichiatra e delle infermiere basterà dire che la loro partecipazione è altrettanto irrilevante quanto gli interventi concepiti per loro.
Se il teatro è specchio della vita reale, questa però non sempre gli restituisce un'immagine fedele. Nonostante gli impedimenti, Anna e Fenton coronano il loro sogno d'amore. Quello del trentenne Otto Nicolai con il ventiduenne soprano umbro Erminia Frezzolini nel 1840 non si realizzò invece per i sordidi calcoli del padre della cantante, il basso Giuseppe Frezzolini, e della stessa Erminia, la quale per di più mandò a picco alla Scala nel 1841 la prima del Proscritto dell'ex boy-friend. E il cuore del giovane tedesco sanguinò a lungo!
Fulvio Stefano Lo Presti
13/3/2015
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