Parigi
Gravità frivola o frivolità grave?
Madame Favart (1878) appartiene all'ultimo periodo della vita e delle opere di Offenbach: opéra comique in tre atti, narra nientemeno la vicenda reale – ovviamente romanzata – del matrimonio Favart, lei una diva d'immensa popolarità, lui autore di musiche amatissime che avrebbe dato il suo nome alla meravigliosa sala dell'Opéra Comique attuale. Era un dovere quindi, prima o poi, proporre al pubblico questo titolo quasi dimenticato anziché riprendere uno di quelli che stanno ancora in mente a tutti. Per chi ritiene che in queste ultime composizioni l'autore avrebbe perso in parte l'ispirazione e soprattutto la sferzata scatenata andrebbe ricordato che il secondo Impero era passato, la guerra francoprussiana finita male di recente e la Comune di Parigi ancora peggio e solo sette anni prima del titolo in questione. Questa signora Favart la si sente con piacere, la si vede ancora in piedi e non si può dire che ci siano dei tempi morti o di musica di routine. Come ne La grande duchesse c'è un quartetto protagonista – ai due Favart, Justine e Charles, si uniscono un amico di lei dei primi anni (Hector) e la sua sospirata moglie (Suzanne) negatagli dal di lei padre (Major Cotignac). A questi e altri personaggi minori si aggiunge il marchese di Pontsablé, terribile donnaiolo invaghito della Favart, che nel frattempo si è fatta passare per Suzanne e poi si è travestita insieme al marito da inservienti dell'altra coppia con tutti gli equivoci che si possono immaginare. Naturalmente sullo sfondo c'è la figura storica del Maresciallo di Sassonia (sí, proprio quello dell'Adriana Lecouvreur) che pare sia stato storicamente innamorato cotto di Justine e abbia voluto in tutti i modi separarla dal marito e prendersela come amante, e questa situazione passa qui in parte a Pontsablé.
Non mi piace raccontare i libretti, ma questa è un'opera rara e temo che tale resterà anche se proprio in Italia ci sarebbero oggi i cantanti per farla benissimo. Pazienza.
Questa recita con tutto esaurito e persone che cercavano un biglietto dell'ultim'ora ha chiaramente smentito le critiche negative dei giornali parigini. Credo che queste avessero come bersaglio la messinscena di Anne Kessler (della Comédie Française e se non erro al suo primo appuntamento con una regia lirica), piuttosto semplice ma con una coreografia di Glyslein Lefever molto azzeccata. Se l'idea di far passare tutto l'imbroglio all'interno del palazzo della stessa Opéra Comique (in particolare la sartoria) e con un bambino che va in giro tutto il tempo senz'altro scopo che dar fastidio sembra in più di un momento poco adatta alla vicenda e spiazza un po' il pubblico, questo sarebbe forse l'unico difetto da rimproverare. Per il resto l'azione non si ferma mai, si cerca di dare una caratterizzazione ben definita ai personaggi e la gente ride e applaude. Sarebbe forse un male? Se poi, apriti cielo, non si sostituiscono i dialoghi originali che saranno oggi ingenui ma per niente scadenti, dov'è il male?
Laurent Campellone non è nuovo alla Comique e ha già diretto parecchie volte – e bene – i titoli che si vanno riesumando stagione dietro stagione – bravo, e meglio che ripetere gli stessi titoli non sempre in modo interessante come si usa nei teatri lirici seri. Questa volta si trovava davanti sia la brava Orchestre de Chambre de Paris sia il coro dell'Opéra di Limoges (che insieme al Palazzetto Bru Zane e al Teatro di Caen coproducono il nuovo allestimento) preparato da Edward Ananian-Cooper, tutti molto competenti.
Del pari i solisti, dal primo all'ultimo. La protagonista non era in salute (per la recita del 22 giugno) ma non si sarebbe detto se non per qualche problema in zona acuta. Nè per volume né per la scalmanatissima interpretazione si potrebbe trovare niente da ridire sul mezzosoprano Marion Lebègue. Del pari era bravo il camaleontico marito di Christian Helmer (baritono) , cui si potrebbe magari chiedere di non cantare sempre e tutto forte. Hector era il tenore François Rougier, non un fulmine ma neanche ce n'è bisogno e come attore era molto bravo. Applausi per Anne-Catherine Gillet, seconda donna ma per niente seconda, sempre con la sua facile voce di soubrette. E se Franck Leguérinel, ormai una forza della natura nei ruoli caratteristici, era un eccellente Cotignac, Éric Huchet risulta il tenore caratterista (ma non solo) ideale nei panni di un Pontsablè irresistibile. Anche i ruoli minori di Biscotin (in teoria proprietario dell'albergo dove in origine succede l'atto primo) e del sergente Larose erano ineccepibili – Lionel Peintre e Raphaël Brémard, quest'ultimo un notevolissimo attore.
Jorge Binaghi
9/7/2019
Le foto del servizio sono di Stefan Brion.
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