RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

S. Cecilia

Jurowski dirige Mahler

La Sesta Sinfonia è forse l'opera più sofferta del gigantesco corpus mahleriano, pervasa da una tensione instancabile che, come scrisse con grande acume Adorno, “traccia in un elettrocardiogramma la storia di un cuore che si infrange”. Per certi aspetti il carattere fortemente personale la accomuna alla straussiana “Vita d'eroe”, anche se nel compositore tedesco il tragico sfocia sovente nel faceto, mentre in Mahler tutto è estremamente serio e terribile. Senza voler insistere sulle prefigurazioni del proprio fatale destino (la morte della figlia, la diagnosi della patologia cardiaca che lo avrebbe condotto alla tomba), sulle quali si è ampiamente soffermata certa critica, l'opera risalta nella propria romanzesca ambizione di narrare una vicenda grandiosa, lo smarrimento del soggetto in un cosmo nel quale ogni anelito verso la redenzione risulta vano ed effimero. Un intero universo sembra esplodere lanciando i propri frammenti alla deriva, ai quali l'ascoltatore deve aggrapparsi se non vuole essere risucchiato nel vuoto dello spazio siderale. In quest'ottica la consueta catarsi conclusiva, il cui fantasma balena nei trionfalismi di volta in volta accennati e costantemente frustrati, lascia il posto ad una disperazione senza fine, scandita dai tre colpi di maglio che stroncano la resistenza dell'eroe. All'interno della colossale partitura il ricchissimo armamentario mahleriano, marce di eserciti spettrali sperduti nella nebbia come in un racconto di Alexander Lernet-Holenia, improvvisi squarci su paesaggi montani di incomparabile vastità, a testimoniare l'aspirazione totalizzante della sua musica. Calibratissima negli equilibri strumentali ma non sempre emotivamente folgorante l'esecuzione ascoltata a S. Cecilia.

Nel dirimere l'annosa questione dell'ordine dei due movimenti centrali, Vladimir Jurowski opta per la soluzione che pone l'Andante prima dello Scherzo. All'energia dell'apertura si contrappone dunque la rarefazione sonora del tempo lento, un'oasi di lirismo prima del parossismo sonoro successivo. Il direttore russo pone l'accento sulla costruzione rigorosa del magma musicale, apparentemente caotico ma in realtà sorretto da un'architettura solidissima. Tutto risalta con estrema chiarezza, comprese le sotterranee relazioni motiviche che a volte si perdono nel poderoso incedere orchestrale. Se qualcosa manca è il senso dell'inarrestabile addentrarsi nell'abisso, di un'inquietudine che ti afferra alla gola, per lasciarti solo con il respiro corto e l'immagine della morte minacciosa di fronte agli occhi.

Riccardo Cenci

1/4/2014