Un ballo in maschera
inaugura la stagione lirica del Teatro Massimo Bellini di Catania
Ricorrendo quest'anno il bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi, il nostro teatro ha ritenuto doveroso commemorare il grande compositore italiano con due opere inserite nel programma 2013: la prima della maturità dell'artista e di grande rinomanza o come si diceva una volta di cartello, Un ballo in maschera, per l'inaugurazione, e la seconda giovanile, di più rara esecuzione, Stiffelio, mai rappresentata nella nostra città, prevista per il prossimo mese di ottobre.
Fin dal suo debutto, avvenuto a Roma il 17 febbraio 1859, l'opera di Verdi Un ballo in maschera ottenne un immediato e lungo consenso, nonostante molti non si fossero accorti delle novità contenute nei personaggi, particolarmente in quello di Amelia; a ciò si aggiungono gli struggenti contrasti emotivi presenti soprattutto nel secondo atto. In seguito, fra la seconda metà dell'800 ed i primi decenni del 900, la splendida partitura registrò una certa flessione, per poi riprendere quota nell'ultimo trentennio. A confermare il grafico cronologico alquanto ondivago del gradimento di pubblico riguardo l'opera basterebbe l'incipit di un articolo di Massimo Mila comparso sulla Stampa del 3 gennaio 1978 e riguardante un'edizione scaligera dell'opera diretta da Abbado: «Quel che si dice del Ballo in maschera naturalmente vale per tutto Verdi, tuttavia per il Ballo è più evidente, emblematico, e cioè che Un ballo in maschera è un capolavoro di espressione pura, di semplice rappresentazione fantastica, senza una goccia, senza neanche un'ombra di pretesa culturale. Di qui il disprezzo in cui era tenuto Verdi in genere, e Un ballo in maschera in particolare, alla fine dell'Ottocento ed al principio del nostro secolo, quando sembrava che l'arte dovesse essere un fatto, anzitutto di cultura, e Wagner era lì a fornire l'esempio altissimo di un'arte dotta, difficile, un'arte col ‘Begriffo', dove ogni cosa vuol sempre dire un'altra cosa, grazie all'onnipresenza del Simbolo. Un ballo in maschera è la cosa più banale di questo mondo. Figurarsi: due che si vogliono bene, ma lei è sposata, e per di più al migliore e devoto amico di lui, che è governatore di Boston. Arrivano fino al punto di perdere la testa in un'avvampante dichiarazione, lui, e di pudico aveu d'amour, lei, poi vengono scoperti, lui cadrà sotto il pugnale dell'amico, che si è unito ai congiurati nemici del Governatore, ma sopravviverà quel tanto che basta per rassicurare l'amico e segretario che non è successo niente di male, che Amelia è pura e che lui morendo perdona tutti quanti. Il trionfo della banalità, cose che capitano tutti i giorni. Ma si dà appunto che questa banalità è la vita di tutti i giorni, senza griglie culturali, valida entro qualunque background sociopolitico, storico o geografico.»
Ed il gradimento registrato nel pubblico etneo riguardo l'edizione dell'opera (nell'allestimento Fondazione di Verona) andata in scena sabato 19 gennaio (turno A) al teatro Massimo Bellini di Catania per inaugurare la stagione 2013, ha confermato proprio come il godimento estetico non abbia sempre necessità e bisogno di supporti ed ausili ideologico-culturali per venire apprezzato e goduto pienamente.
Diciamo subito che l'elegante ed appropriata regia di Luca Verdone ha saputo cogliere le linee maestre del dramma, riuscendo a creare una fruttuosa ed articolata sinergia fra palcoscenico e golfo mistico, esaltando al meglio lo struggimento dei due personaggi principali, combattuti fra l'amore carnale (che rimarrà inappagato) e quello spirituale (l'unico consentito dalle restrizioni etico-sociali). Altrettanto efficienti e funzionali allo spettacolo le toccanti ed alquanto dinamiche scene create da Raffaele del Savio, così come i morbidi e flessuosi costumi curati da Alberto Spiazzi. I delicati movimenti coreografici realizzati da Giusy Vittorino, così come le luci di Salvatore Campo, sono riusciti a suggellare la compatta prestazione drammaturgia dell'insieme. Di buona fattura anche la preparazione del coro addestrato con alta competenza da Tiziana Carlini.
Josè Cura ha condotto l'orchestra del nostro teatro con salda perentorietà e con altrettanta perizia dinamica, riuscendo a dosare con estremo puntiglio e precisione ogni minima variazione timbrica ed espressiva, mai soverchiando o sopraffacendo (forse perché eccellente cantante egli stesso) con sonorità invadenti e indiscrete la vocalità dei cantanti, né mai obliando raffinatezza e discrezione.
Dimitra Theodossiou ha incarnato il personaggio di Amelia con una appropriata perizia vocale e con saldo controllo tecnico, con qualche defaillance nella resa emotiva e affettiva, alla quale non è riuscita a dare spessore sentimentale e deflagrante passionalità. Lo stesso dicasi per Marcello Giordani, perfettamente a suo agio nella zona medio-alta della tessitura, affrontata con prepotente cipiglio, ma alquanto poco efficace in quella media e medio-bassa. Entrambi i due protagonisti avrebbero anche dovuto dare un conveniente ed appropriato peso ai recitativi, i quali, come ebbe a dire qualche grande cantante del passato, fanno parte integrante del dramma e del canto, e pertanto non vanno buttati via senza attenzione né tirati giù senza convinzione. I recitativi rimangono il tessuto connettivo del corpo melodrammatico e pertanto vanno sempre curati con estremo rigore e meticolosa precisione.
Pietro Terranova (Renato) ha saputo ben incastonare nell'insieme il suo personaggio, sia da un punto di vista canoro che di resa scenica, anche se una maggiore potenza fonica e veemenza scenica non avrebbe certo guastato. Nicole Piccolomini, nella parte dell'inquietante maga Ulrica, ha saputo incarnarne l'arcana e letale fatalità, così come la vivace e frizzante Manuela Cocuccio ha saputo dare energia, smalto e spensieratezza alla figura del giovane paggio Oscar. Buone anche le prove offerte da Angelo Nardinocchi, Paolo La Delfa e Concetto Rametta rispettivamente Silvano, Samuel e Tom.
Giovanni Pasqualino
20/1/2013 Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando per il Teatro Massimo Bellini di Catania.
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