Con Gergiev e Matsuev al Lingotto
La qualità delle esecuzioni, la scelta non scontata del programma e l'indiscutibile livello degli interpreti hanno fatto del concerto di martedì 8 aprile 2014, all'auditorium Giovanni Agnelli presso il Lingotto di Torino, un'esperienza estetica davvero stimolante. Con una compagine strumentale come la London Symphony Orchestra e un direttore come Valerij Gergiev, d'altro canto, non ci si poteva aspettare altro che il meglio. La serata è iniziata con L'ascension di Olivier Messiaen, quattro quadri per orchestra datati 1932-33 vagamente ispirati allo schema quadripartito della sinfonia canonizzato da Haydn, nei quali l'autore riversa quel misticismo che accompagna gran parte della sua produzione. Fin da subito si impone il gesto direttoriale di Gergiev: le inconfondibili dita tremule e le mani mobilissime, che paiono trarre la musica dall'orchestra quasi obbedendo ad un rituale magico, o, come ebbe a dire il poeta, «Evocata con filtri e segni e cabale / Dalle profondità d'una caverna!» (è mai capitato che il fascino di un direttore incida sulle impressioni che in voi suscita la musica? Sarebbe interessante veder dirigere Gergiev le prime pagine dell'Apprendista stregone di Dukas). Gergiev, pur notoriamente a suo agio col repertorio russo, dimostra la sua competenza nella processione sacrale e ieratica degli accordi del primo movimento (Majesté du Christ demandant sa gloire à son Père), con gli ottoni resi particolarmente morbidi e amalgamati quasi volesse evidenziare, nel trattamento “a corale” del tema, la parentela di questo brano col pensiero organistico dell'autore (nel 1937, infatti, Messiaen riarrangiò L'ascension per organo, sostituendo il terzo movimento con un altro brano), e nell'evanescenza del timbro ottenuto dagli archi nel secondo movimento (Alleluias sereins d'une âme qui désire le ciel), resi pressoché inudibili e coesi a formare un tappeto impalpabile sotto le figurazioni dei legni. Notavamo, tra l'altro, che il carattere di sacralità dell' Ascension si invera nell'esplicitazione dei titoli, piuttosto che nella musica in sé, la cui sonorità è tipicamente novecentesca – e il Novecento musicale non brilla certo per la produzione sacra, eccettuato forse il Gloria di Poulenc –: ma qui siamo in presenza, e ciò vale soprattutto per il terzo movimento (Alleluia sur la trompette, alleluia sur le cymbale), di una religiosità filtrata dalla sensibilità di Messiaen, che la vive in modo viscerale, sì che tale trasporto religioso, o meglio religiosamente inteso, del terzo movimento prelude già allo slancio della Turangalîla-Symphonie, posteriore all'Ascension di una quindicina d'anni: ed è questo slancio che Gergiev tende ad evidenziare, soprattutto nel vitalismo del finale, senza trascurare la dovuta attenzione ai diversi piani sonori, sempre identificabili. Atteggiamento opposto invece per il quarto e ultimo movimento (Prière du Christ montant vers son Père), il più evocativo, atmosferico, curato nella direzione al dettaglio, dove l'abbandono alla preghiera è vista non come se fosse Cristo a pregare, ma un credente qualsiasi, che si affida con serenità alle mani del Signore.
Da sinistra: Valerij Gergiev e Denis Matsuev.
Non poteva mancare il brano per solista e orchestra: sotto la direzione di Gergiev ascoltiamo così il Concerto per pianoforte e orchestra n.2 in la maggiore S 125 di Franz Liszt, interpretato da Denis Matsuev. (forse John Axelrod, intravisto in sala durante l'intervallo, voleva farsi un'idea su come Gergiev dirigesse Liszt, dato che sarebbe toccato a lui dirigere Valentina Lisitsa all'auditorium Arturo Toscanini lungo le impervie pagine della Totentanz due giorni dopo?). Pianista siberiano classe 1975 dal curriculum invidiabile, Matsuev non impiega molto a far capire che è lui, e non Antonello Venditti, incrociato poco prima dell'inizio della serata, la star indiscussa. A parte il morbidissimo inizio arpeggiato del primo movimento, che rivela l'intenzione lisztiana di dialogare con l'orchestra, e non di prevaricare come in altre sue composizioni, quella di Matsuev è un'interpretazione d'impatto fortemente drammatico, al punto che, nei forti e nei fortissimi, arriva a far vibrare il coperchio sollevato del pianoforte! Poi, d'un tratto, il magma incandescente si raffredda, e tra gli arpeggi delicati del pianoforte e l'orchestra ammansita e sonnolenta, si instaura un dialogo trasparente ed etereo, come di due amanti che sussurrino tra loro. Nonostante l'impeto che dimostra di possedere, Matsuev sa anche, quando serve, essere generoso con delle nuance sonore più sfumate. E Gergiev si riconferma maestro nel saper dosare con misuratissima perizia le dinamiche del solista e dell'orchestra: l'intervento del violoncello solista, poi, dal sapore quasi schubertiano, che rammenta l'inizio dell'Ouverture del Tell di Rossini, è reso con espressività efficace e romanticamente languorosa. Da segnalare, lungo il dipanarsi dei sei movimenti senza interruzione del Concerto – soluzione innovativa che fa il paio con l'analogo esperimento pianistico delle Sonata in si minore S 178 e che lo rende più simile ad una fantasia sinfonica per pianoforte concertante, che non ad un concert per pianoforte classicamente inteso – la sonorità perlacea dei passaggi di bravura, che non sempre però convince circa il calore con cui viene presentata. Si tratta in ogni caso di un peccato veniale. Matsuev viene lungamente applaudito e ringrazia presentando due fuori programma: Une tabatière à musique, valse badinage Op. 32 di Anatolij Ljadov (il cui riconoscimento ha messo in difficoltà non poche persone) e il Preludio n. 5 in sol minore Op. 23 di Sergej Rachmaninov, il primo eseguito con la leggerezza di un minuetto settecentesco, il secondo con l'irruenza che caratterizza le pagine più focose del grande compositore russo.
Russo il direttore, russo il pianista, russo il fuori programma del pianista: la seconda parte della serata non poteva che essere russa: la Sinfonia n. 2 in do minore Op. 29 di Aleksandr Skrjabin. Di questa partitura, Gergiev sottolinea in particolar modo il fuoco che ne sta alla base, l'elaborazione motivica continua (Le Poéme de l'extase Op. 54, d'altro canto, sarà costituito da un unico movimento basato sull'elaborazione di otto motivi…) e il coinvolgimento emotivo al di sopra della struttura non sempre rigorosa della sinfonia. Il finale, poi, Maestoso, è reso altisonante e magniloquente come il Preludio dei Meistersinger wagneriani: si tratta di un tipico finale di sinfonia tardoromantica, acceso da turgori (talvolta) retorici, che si calmano, lasciando spazio a squarci di una liricità più cantabile, fino alla conclusione che strappa l'applauso, in cui Gergiev si cura soprattutto di evidenziare e staccare le pause che conducono alla conclusione, sulla falsariga del finale della Quinta di Beethoven. Grande entusiasmo di pubblico, che sembra premiare più questa seconda parte del concerto rispetto alla prima. Christian Speranza
15/5/2014
Le foto del servizio sono di Pasquale Juzzolino.
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