Mauro c'ha da fare, una produzione 095mm
La storia di Mauro, ragazzo coraggio
Già, Mauro ch'a da fare. E lo si capisce sin dai primi fotogrammi, quando suona la sveglia: animato da grande spirito d'iniziativa, Mauro si alza, si lava, si rade. E si va a ricoricare. Sotto coltri rassicuranti che lo isolano dal mondo. Con queste immagini comincia l'ultimo film firmato da Alessandro di Robilant, autore anche del soggetto e della sceneggiatura con Alessandro Marinaro: una produzione indipendente, firmata dalla 095mm, interamente girata e realizzata all'ombra dell'Etna con un'équipe quasi interamente isolana. Nel corso del primo giro di proiezioni, il film è stato presentato in anteprima al cinema King di Catania, il 29 aprile, durante un'affollatissima serata, brillantemente presentata da Alessandro De Filippo.
Ha in tasca ben due lauree, Mauro, una in Economia e un'altra in Filosofia. Eppure trascorre le sue giornate a dare lezioni private ad allievi beoti, a preparare concorsi universitari che lo vedono puntualmente arrivare al primo posto dei non vincitori, inflessibile osservatore di un mondo alla rovescia che, tuttavia, non desidera abbandonare, semmai raddrizzare. Per questo non può accettare la fuga della fidanzata Laura (una luminosa, camaleontica Evelyn Famà) verso un radioso futuro lavorativo di corruzione nel prospero Nord-Est; per questo non si piega alle logiche dei familiari, che lo vorrebbero impiegato a tutti i costi, ora come scaricatore al mercato ortofrutticolo, ora come elettrauto in un'azienda di famiglia della periferia torinese.
Mauro c'ha da fare perché Mauro non ci sta. Certo, è esilarante la singolare battaglia contro la colf Assunta (Luana Toscano), che lascia polvere e ragnatele in ogni angolo della casa; come quella contro il sindaco della sua città (Gabriele Arena), troppo impegnato in pause caffè e incontri con gli amici nel bar del paese (gestito da Rosario Minardi) per occuparsi dell'immondizia che tracima dai cassonetti. Ma il gioco si fa più rischioso quando, novello Robin Hood, Mauro decide di combattere contro il direttore della banca che ha negato il mutuo ai suoi dirimpettai, una famiglia strozzata dagli interessi da pagare; o quando affronta a muso duro e viso aperto l'anziano direttore del Dipartimento universitario (un irresistibile cammeo di Marcello Perracchio) che puntualmente lo umilia, icona di antichi vizi accademici nostrani. E allora quel c'ha da fare diventa sinonimo di un engagement che Mauro, eterno ragazzo con un brillante futuro alle spalle, incarna con irresistibile levità, ma anche con pertinace, fiera dignità.
Con un passato nel cinema di denuncia sociale Il giudice ragazzino (1994), Vite blindate (1998), I fetentoni (1999), L'uomo della carità (2006), Mar Piccolo (2009) il regista di Robilant scrive un'altra pagina di acre osservazione della realtà che ci circonda. Confortati dall'ammiccante, sorridente colonna sonora firmata dal cantautore etneo Fabio Abate, con una scrittura a un tempo densa e lieve di Robilant e Marinaro evocano i fasti della commedia brillante all'italiana, che per li rami discende direttamente da Pietro Germi: sicché si ride, in maniera sapida, ma poi subito ci si accorge che il ritratto che ne scaturisce è drammatico, sfaccettato, perennemente sfumato. I rapporti di Mauro sono tesi, l'incomunicabilità dietro l'angolo: con Pino (Massimo Leggio), il compagno di merende e l'amico di sempre, perennemente in cerca di improbabili avventure destinate a naufragare; ma soprattutto con i genitori, Andrea Borrelli e Cettina Bonaffini, quest'ultima straordinaria nel restituire tutte le stanchezze di una classe docente inchiodata al posto di lavoro, anche quando sono palesemente sopravvenuti i limiti d'età, ormai incapace di rapportarsi con un mondo affrontato con dolente, rassegnato pragmatismo.
Ma certo Mauro non farebbe, non sarebbe tutto questo senza la strepitosa maschera di Carlo Ferreri, presenza tra le più applaudite del teatro italiano diretto, tra gli altri, da Antonio Calenda, Lamberto Puggelli, Franco Però, Armando Pugliese e beniamino delle platee catanesi (dalle sue indimenticate interpretazioni al Piccolo Teatro sino alle più recenti al Brancati), ma qui pronto a dar vita e corpo ad un ragazzo coraggio: uno di quei mille incompresi della società contemporanea, che basterebbe solo conoscere un po' meglio per capire. Da qui una leggerezza ironica, un rabbioso disincanto che lo apparentano ora a Jacques Tati, ora a Charlie Chaplin: nel finale surreale, autentico coup de théâtre degno del teatro dell'assurdo, autentico sberleffo di un cervello finalmente in fuga. Da Catania, dalla Sicilia, dall'Italia, ma soprattutto da chi rovina il nostro paese perché non ha voglia di fare.
Giuseppe Montemagno
3/5/2015
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