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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


James Meena

dirige l'orchestra del Teatro Massimo Bellini di Catania

Non è questa la sede adatta per porre e dirimere la questione di una filosofia del programma da concerto, ma è certo che una sua coerenza, il seguire un certo fil rouge, ne accrescerebbe senza dubbio il suo valore socio-culturale. La strutturazione delle musiche di un concerto può essere concentrata sulla figura di un solo compositore (si avrà allora un'esecuzione a carattere monografico), su musicisti della stessa nazionalità (si avrà allora una performance dove l'etnia assume il carattere preminente), su strutture musicali affini (per esempio una sinfonia di Beethoven nel primo tempo ed una sinfonia di Schubert nel secondo). L'impostazione può insomma seguire varie combinazioni e linee di pensiero, a secondo delle intenzioni e delle proposte di chi la costruisce.

Il programma del concerto di venerdì 6 marzo 2015 (con replica sabato 7 marzo), annunciato dal Teatro Massimo Bellini di Catania, offriva un itinerario tutto anglo-sassone, prevedendo musiche di Samuel Barber, Benjamin Britten ecc. per poi chiudere nel secondo tempo con l'interessante e poco eseguito The Planets di Gustav Theodor Holst. Tuttavia, l'originaria disposizione del brano di Holst è stata annullata ed al suo posto sono stati proposti i Quadri di un'esposizone di Modest Musorgskij, nella trascrizione per orchestra di Maurice Ravel. Per carità, sempre di musica degnissima e pregevolissima si tratta, ma di fatto il concerto ha perso quella sua interna coerenza e strutturazione tutta anglo-sassone per diventare una normale e semplice giustapposizione di brani scelti secondo esigenze non più solo culturali, filologiche, antropologiche, etnografiche o storiografiche ma esterne, quali per esempio la maggior notorietà del brano al pubblico, la sua esecuzione più o meno gradita al direttore d'orchestra o altre congetture e motivazioni che noi non staremo certo a meditare e rimuginare. Certo è, per concludere sulla questione, che un itinerario musicale, qual che sia, dovrebbe sempre rispondere a delle progettualità che ne inducano e invoglino un ascolto critico, che contribuiscano ad accrescere ed incrementare le conoscenze musicali all'interno della storia e della cultura dell'uomo.

Il maestro americano James Meena ha diretto con singolare garbo ed eleganza St. Paul's Suite per archi op. 29 n. 2 di Gustav Holst nelle sue quattro magnifiche sezioni (1. Jig – Vivace; 2) Ostinato – Presto; 3) Intermezzo – Andante con moto; 4) Finale “The Dargason” – Allegro), seguitando con Second Essay per orchestra op. 17 di Samuel Barber e concludendo la prima parte con Four Sea Interludes from Peter Grimes op. 33a (Dawn – Lento e tranquillo; Sunday Morning – Allegro spiritoso; Moonlight – Andante comodo e rubato; Storm – Presto con fuoco). Molto meno incisiva, forse perché lontana dai suoi precordi statunitensi, ci è parsa l'esecuzione dei Quadri di un'esposizione, che proponeva una lettura della partitura corretta e ritmicamente precisa ma lontana da quel tipico luminoso smalto orchestrale che esibisce la composizione, specie nella trascrizione e strumentazione operata da Maurice Ravel. Notiamo con assoluta schiettezza e senza alcuna velleità di procurarci consensi e simpatie, che la nostra orchestra vanta assolutamente degli ottimi strumentisti, delle pregiate individualità e delle eccellenze interpretative; quello che a nostro avviso ancora manca in essa è la qualità dell'amalgama sonoro, la sua spiccata caratteristica, la sua precipua singolarità, la fonicità elettiva che forse una più tenace, continua e agguerrita concertazione renderebbe sicuramente più incisiva, fluida e scorrevole.

Giovanni Pasqualino

7/3/2015

La foto del servizio è di Giacomo Orlando.