RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Barcellona

Concerto di Bejun Mehta

Nel ciclo Grandi Voci del Palau de la Música Catalana era la volta del controtenore Bejun Mehta, qui molto apprezzato in altre occasioni, accompagnato dall'Akademie für Alte Musik Berlin, diretta – solo per i pezzi che richiedevano la presenza di tutta la compagine – dal concertino, Bernhard Forck.

Il concerto era complessivamente di livello molto elevato, ma consentiva di verificare che l'orchestra ha più affinità con gli autori tedeschi (Händel compreso) almeno se il soggetto della musica non è serio . Una sinfonia di Caldara sulla passione di Gesù risultava molto apprezzabile, mentre invece una di soggetto profano quale il Concerto RV 129 di Vivaldi (“Madrigalesco”) non dimostrava molta dimestichezza con i suoni leggeri e brillanti che ci vorrebbero.

Qualcosa di simile, ma in senso inverso, si evidenziava nel caso del celebre cantante, tra i primissimi del suo registro: essendo com'è un vero maestro della parola, delle sfumature, dell'espressività (anche corporale, ma senza eccessi) lo si vedeva un po' ingessato nei momenti più raccolti e drammatici della nota cantata Ich habe genug di Bach (nella quale, per di più, l'articolazione del testo non era così perfetta come di solito), e, di conseguenza, brillava soprattutto nel recitativo e aria finale, più allegro e pirotecnico. Sorprendeva invece l'intensità e il lirismo del breve e bellissimo Lamento di Johann Christoph Bach, che comunque impallidiva di fronte alla seguente grande cantata di Vivaldi Pianti, sospiri, senz'ombra di dubbio il momento più alto della serata, dove in pratica esibiva tutte le sue immense possibilità tecniche, stilistiche e vocali: agilità facili e impressionanti (in assoluto non a effetto mitragliatrice, come capita spesso con alcuni dei suoi colleghi, uomini e donne che siano), affetti contrastanti (si vede che si tratta di un cantante particolarmente dotato per l'opera), ornamenti lenti, capacità di fiato e di filare i suoni, variazioni espressive di grande ricchezza, attacchi precisi. Stesso giudizio per opere più brevi quali i due Händel italiani: l'aria della cantata Siete rose rugiadose e la cantata Mi palpita il cor), e altri due brani, in inglese, uno da oratorio quale unico bis – di struggente dolcezza; non ha bisogno di ricorrere a fuochi di artificio a fine concerto per ottenere l'applauso del pubblico – e un breve ed esemplare Magnificat (“I will magnify thee”). Il pubblico rispondeva con calore ma solo in qualche momento con vere e proprie ovazioni, Vivaldi e Händel in inglese, appunto.

Jorge Binaghi

26/4/2017

La foto del servizio è di Lorenzo di Nozzi.