Il Proscritto di Saverio Mercadante
al Barbican Centre di Londra
Il Proscritto, melodramma tragico in tre atti di Saverio Mercadante (Altamura 1795 – Napoli 1870), su libretto di Salvadore Cammarano (Salvadore non è refuso, ché il poeta preferiva la ‘d') venne dato con discreto successo al San Carlo di Napoli in due stagioni consecutive nell'arco del 1842, totalizzando venti rappresentazioni. Stretto tra melodrammi relativamente più noti, quali Il Giuramento, Il Bravo e La Vestale, che lo precedono, e Il Reggente e Gli Orazi e Curiazi, che vengono dopo, Il Proscritto era finito tra i titoli più reconditi del ricco quanto impervio catalogo mercadantiano (cinquantasette spartiti completi). Solo all'audace per non dire temeraria Opera Rara londinese poteva venire in mente di riscoprirlo per eseguirlo in epoca moderna in versione oratoriale, nell'edizione critica di Roger Parker e Ian Schofield. Seguirà puntualmente nei prossimi mesi la registrazione in CD. Forse non ci avrebbe pensato neanche l'ardimentoso Festival di Wexford, nella Repubblica d'Irlanda, che nel trentennio 1988-2018 ha messo in cartellone con notevole successo ben sei opere dell'Altamurano ( Elisa e Claudio, Elena da Feltre, Il Giuramento, La Vestale, Virginia e Il Bravo). Diciamoci la verità, in Italia sarebbe pressoché impensabile riuscire a riempire con Mercadante in locandina un vasto auditorium quale il Barbican, platea e tribuna, (che la sera dell'esecuzione era invece pieno zeppo). Per una non insolita concomitanza altri due Proscritti avevano preceduto di un anno questo mercadantiano. Il tragico Proscritto di Otto Nicolai (Milano 1841) ed il semiserio Proscritto di Mario Aspa (Napoli 1841), ciascuno derivato dal dramma omonimo di Frédéric Soulié, rappresentato a Parigi nel 1839. La vicenda ha alla base l'involontaria bigamia dell'eroina – si chiama Malvina in Mercadante - che, rimasta apparentemente vedova, si risposa proprio nel momento in cui riappare redivivo il primo, legittimo consorte. Alla mancata vedova non resterà, tra talune peripezie necessarie all'azione, che il suicidio (tranne nell'happy ending di Aspa). Varia l'ambientazione: in Francia all'inizio dell'800 per Soulié e Aspa, in Inghilterra all'epoca della guerra delle Due Rose per Nicolai, in Scozia nel Seicento durante la Repubblica di Cromwell nella versione di Cammarano.
Riprendendo liberamente quanto osservato da Tim Ashley nel “Guardian” all'indomani del concerto, si può concordare che, Mercadante, con il cospicuo bagaglio di esperienze acquisito nel Settentrione e all'estero, «allarga i confini formali dell'opera italiana, apportandovi innovazioni armoniche, orchestrali e drammatiche in parte mutuate da modelli francesi. […] Ciò non toglie che nel Proscritto l'amalgama non sempre funziona». Il belcanto del Nostro è spesso più urgentemente drammatico che maliosamente melodico, ma la tavolozza dell'ispirazione mercadantiana non è così avara come taluni continuano a sostenere. Colin Clarke in “Seen and Heard International” fa un parallelo tra Il Proscritto e il coevo Nabucco verdiano (1842): «se le melodie di Mercadante non sono altrettanto memorabili quanto quelle di Verdi, esse ciononostante raggiungono il cuore». L'opera è introdotta da una spavalda pagina corale col supporto della banda, mentre un altro pregevole coro fa da spartiacque nel secondo atto, questo coronato da un superbo concertato (Finale 2°), che fa intervenire tutti i solisti. Tra ispirati duetti, insiemi e una grande scena con aria e cabaletta col coro del contralto en travesti, l'azione si avvia inesorabile verso la tragica conclusione: la toccante aria finale di Malvina con i pertichini dei due tenori rivali. Un Proscritto, che, al di là dell'imminente CD, merita di ritornare su un palcoscenico.
L'imponente compagine della Britten Sinfonia, integrata dal robusto Coro di Opera Rara, nei cui rispettivi ranghi si notavano tanti giovani e giovanissimi, era diretta anzi animata da Carlo Rizzi, convinto, energico, appassionato, con un sicuro slancio nota per nota, che non poteva non entusiasmare il pubblico (a Londra si applaude soprattutto alla fine senza la premura di avviarsi all'uscita). Quanto al Coro era nelle competenti mani di Stephen Harris. A Opera Rara non servirebbe affatto la raccomandazione di Norina ai servi di Don Pasquale: ‘Fate le cose in regola, / non ci facciam burlar'. Anche in questa occasione ha saputo radunare un cast di alto profilo.
Ben differenziati vocalmente e nell'indole i due valorosi tenori, che si contendono la consorte, col timbro più delicato e generoso di Ivan Ayon-Rivas, quale Arturo secondo sposo di Malvina, contrasta quello più scuro, prepotente e vendicativo di Ramon Vargas, il proscritto Giorgio che ritorna mettendo a rischio la propria incolumità. A quest'ultimo tocca l'ultima battuta (Cammarano la imbrocca sempre) davanti al cadavere di Malvina: ‘Viva o morta, è mia tuttor!' Quanto all'eroina, non poteva trovare più trepida, sofferta, vibrante interprete del mezzo soprano Irene Roberts - combattuta anzi dilaniata tra Giorgio e Arturo - che culmina nello straziante finale ultimo. Non è certo un secondo ruolo in peso e impegno quello del contralto Elizabeth DeShong, che impersona en travesti Odoardo, fratello di Malvina, personaggio gratificato da Mercadante con la lussureggiante scena (aria e cabaletta) del 2° atto. Degli altri, il soprano Sally Matthews, quale Anna, che ha avuto due mariti senza problemi ed è madre di Guglielmo (primo letto) e di Malvina e Odoardo (secondo letto), dispiega una bella energia nel Finale 2°, mentre l'irredimibile villain Guglielmo ha trovato degno e truce interprete nel basso Goderdzi Janelidze (noto nel suo curriculum che è già stato Sparafucile ma non Padre Guardiano!). Completavano onorevolmente il cast il soprano Susana Gaspar (Clara), il tenore Alessandro Fisher (Osvaldo) e il baritono Niall Anderson (Ufficiale di Cromwell).
Fulvio Stefano Lo Presti
18/7/2022
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