RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Miseria e nobiltà

Scrivere un'opera nuova per il Carlo Felice. Marco Tutino l'ha fatto. E devo dire con esiti soddisfacenti. Dove il gravame dello scrivere un'opera nuova in Italia ha pesi e misure da far tremare i polsi. Eppure la sua Miseria e nobiltà, andata in scena domenica 25 febbraio 2018 (venerdì 23 la prima), si ritaglia un bel pezzo di stoffa dal grande telero della mastodontica tradizione italiana. Un pezzo di stoffa su misura. Su misura del Teatro Carlo Felice. Su misura dei genovesi. Su misura di coloro che, in una giornata di gelo, hanno deciso di andare comunque a teatro. Il “comunque” (andare a teatro nonostante sia un'opera nuova non facente parte del cartello tradizionale) e la “misura” (niente sperimentazione e fiumi di melodia affascinante e travolgente, in ispecie) hanno trovato una giusta equivalenza nel risultato finale di questa opera.

Che dopo la Turandot di Puccini vi fosse “la fine del mondo operistico” e che, di conseguenza, dopo Puccini non si potesse (o volesse) comporre melodrammi, è opinione ormai comunemente superata, altrimenti Ottorino Respighi, Alfredo Casella, Francesco Balilla Pratella, Luigi Dallapiccola dove li andremmo a collocare? Questi nomi testimoniano della necessità di continuare a comporre per il teatro. Certamente la musica del Novecento ha caratteristiche precipue sedimentate (e sviluppate) sia dalla sperimentazione delle avanguardie, sia da prestiti più o meno leciti dal jazz e dal musical. La struttura e il linguaggio musicale si fanno complessi così come il rapporto musica-testo. Il dualismo «opera tradizionale» (da Giancarlo Menotti ad Azio Corghi), «anti-opera» (“Laborintus” di Luciano Berio e Edoardo Sanguineti, in primis) pesano, sulle spalle del compositore del Duemila, come una suocera malvoluta e scomoda.

L'opera nuova per il Carlo Felice è una commedia e qui la faccenda si fa ancora più cruda, ardua, ingrata, dove le silhouettes di Rossini e Donizetti si intrecciano inevitabilmente col Falstaff verdiano. Il libretto, approntato da Luca Rossi e Fabio Ceresa, è una versione molto libera tratta dall' omonima commedia di Eduardo Scarpetta (1887) e da alcuni riferimenti all'omonimo film con Totò, Sofia Loren, Carlo Campanini, Carlo Croccolo (1954). Opera buffa, certo. Ma melanconica e mesta. Dove il sorriso si intreccia con il turbamento. La comicità con la tragedia del momento storico. Qui portato al 1946, nell'immediatezza del referendum monarchia/repubblica. Ma, questo riferimento, fa l'occhiolino alla nostra situazione contemporanea, dove nel secondo atto, un lieve riferimento politico, pone l'ascoltatore su crude riflessioni e il sorriso si trasforma in amarezza.

I due atti di Marco Tutino hanno valenze diverse. Nel primo, alcune incertezze, secondo me, nella caratura comica, andrebbero riviste e la scena del «desisti» ha poca presa. Così come il duetto della scrittura («Una lettera la sapete scrivere?»), sente la pressione della tradizione operistica e, nella fattispecie (e non solo), la scena del contratto di nozze del Don Pasquale di Donizetti, con il riproporre l'ultima parola della strofa («voto», «soldi», «tengo», «…ano»). Bellissima, per contro, «Peppiniello adorato figlio» brano cantato da Bettina, egregiamente interpretata dal soprano Valentina Mastrangelo. L'accento dolente, la disperazione di non potersi rivelare al figlio sono interpretati con un pathos encomiabile, rendendo questa lirica il pezzo più interessante (e bello – e anche merito della cantante, che ha messo l'anima!) dell'intero primo atto.

La famosa scena della pastasciutta, condotta con una magistrale pantomima rallentata dal coro e dai protagonisti, chiude splendidamente il primo atto.

Ah, il secondo atto. Lo potrei definire: “D'una temperie affettuosa”, nonostante che in questo si metta in scena il travestimento di Felice Sciosciammocca in principe di Casador, entrando più specificatamente nel comico. Scena ben condotta e senza bisogno di mossettine, caccole e ghiribizzi che facilmente caratterizzano certa maniera di mettere in scena le opere buffe oggigiorno. Sobrietà e semplicità nella resa teatrale di questo Sciosciammocca alias Casador (che qualche sorriso ha strappato). Ma, nel prosieguo dell'atto, Alfonso Antoniozzi fa la parte del leone, sia quando cerca di parare alla gaffe («Eccellenza, quale onore mi fate»), sia quando si infuria contro il vero principe di Casador («È di mia figlia che parlate? / Con il mio vino in mano? / In casa mia?»).

Toccante e sublime la scena quinta del secondo atto, quando Felice scopre la verità sul sacrificio di Bettina («Perché non me l'hai detto?»). Il duetto d'un accento tenero e risoluto al tempo stesso. Delicato nella effusione del sentimento. La musica sottolinea efficacemente il ritrovamento del bene perduto e dell'amore che rinviene nelle parole «È vero che ho sbagliato».

Complessivamente, però, in Miseria e nobiltà manca quella caratteristica della commedia che è l'ironia come denominatore comune. Il personaggio di Sciosciammocca è tarato su una visione troppo seria, dolorosa, umbratile per poter sortire quale personaggio comico a tuttotondo. La musica, immediata e comunicativa, con melodie fluenti e cantabili. Effetti chiaroscurali pieni e robusti (a volte troppo) che rimandano al già citato «Falstaff» e a Puccini (ma con garbo).

Ad ogni modo, energica la direzione di Francesco Cilluffo con orchestra e coro ben presenti. Intelligente la regia di Rosetta Cucchi che ha saputo rappresentare con dottrina (e mantenere nella giusta misura) la scena un po' sovrabbondante della celebrazione dell'Italia repubblicana. Bellissime le scene di Tiziano Santi e i costumi di Gianluca Falaschi con una Napoli piena di speranze e buoni auspici.

Francesca Sartorato (Peppiniello, en-travesti), Valentina Mastrangelo (Bettina, giù citata), Alessandro Luongo (Felice Sciosciammocca), Martina Belli (Gemma), Alfonso Antoniozzi (Don Gaetano, già citato), Andrea Concetti (Ottavio), Fabrizio Paesano (Eugenio), Nicola Pamio (Contadino / Cameriere), tutto il cast, ognuno nelle proprie competenze, molto, molto bravo.

Francesco Cento

26/2/2018