Romeo e Giulietta secondo Bellini
Nell'esternare il proprio disappunto di fronte alla declinazione belliniana della vicenda di Romeo e Giulietta, Hector Berlioz lamentava in particolare la mancata aderenza al dettato shakespeariano del librettista Felice Romani; stigmatizzando inoltre l'uso obsoleto della voce femminile per il ruolo di Romeo, apprezzava però alcuni voli lirici del musicista catanese. L'impostazione preromantica del lavoro non poteva incontrare i gusti di un compositore intriso di romanticismo, portato a scardinare le convenzioni spingendo l'orchestra verso lidi sino ad allora ignoti. I Capuleti e i Montecchi nasce nell'urgenza di una commissione estremamente rapida, che impone ritmi forzati all'ispirazione belliniana. I numerosi prestiti da Zaira, imposti dalla necessità pratica, non sfociano nella pedissequa imitazione, ma approfondiscono le potenzialità racchiuse nel precedente lavoro. La partitura, non esente da reminiscenze rossiniane, lascia comunque emergere i tratti di una personalità originale e inconfondibile. Vano sarebbe poi cercare la profondità shakespeariana in un libretto improntato alle convenzioni dell'epoca, comunque confezionato con funzionale concisione drammaturgica. Basti pensare all'ultimo quadro del secondo atto, scevro di ogni effettismo e improntato a una emotività intensa e fortemente sentita. Detto ciò, sin dalla prima esecuzione veneziana del 1830 il successo arrise subito a quest'opera. La progressiva eclissi del titolo è storia più recente. Al Teatro dell'Opera di Roma si contano solo tre edizioni precedenti all'attuale declinazione: nel 1967 (con Abbado sul podio e il tenore Giacomo Aragall nel ruolo di Romeo), nel 1979 e nel 2004. Denis Krief segue la propria inclinazione minimalista confezionando un allestimento semplice e lineare, forse meno felice del consueto ma apprezzabile nel suo lasciare spazio al canto. La vicenda si svolge in una piazza che richiama la poetica di De Chirico, mentre le due famiglie rivali paiono estratte da una faida isolana. Sostituire le spade con i moschetti non è sempre idea fortunata. Il continuo minacciare puntando le pistole non ha senso. Non si comprende perché i rivali non diano fuoco alle polveri, invece di blaterare vane invettive. Il ferro tradizionale, in questo caso, sarebbe risultato più efficace. Tra i momenti migliori il manifestarsi improvviso del corteo funebre, solo intravisto da Romeo e Tebaldo attraverso una grata calata dall'alto. La morte dell'amata si palesa progressivamente nelle parole del coro, in un crescendo straziante di consapevolezza; l'incubo più tremendo si materializza nella fine, in realtà simulata, di Giulietta. Anonimi i costumi, secondo l'estetica generale. Il coro, piuttosto statico, anche dal punto di vista vocale non ha offerto una prova all'altezza degli standard consueti. Ottima invece l'orchestra, guidata con grande perizia da Daniele Gatti. Il maestro milanese pondera ogni equilibrio, trovando grande sintonia con i cantanti. Fra questi emerge Vasilisa Berzhanskaya, un Romeo dal timbro accattivante e dalla voce omogenea in ogni registro, emotivamente coinvolgente. Un gradino al di sotto Benedetta Torre, una Giulietta dal timbro sognante e delicato, alla quale manca ancora un pizzico di maturità per esprimere al meglio il personaggio. Discreto il tenore Giulio Pelligra nel ruolo di Tebaldo, apprezzabili Nicola Ulivieri e Alessio Cacciamani, rispettivamente nei panni di Lorenzo e Capellio.
Riccardo Cenci
4/2/2020
La foto del servizio è di Yasuko Kageyama.
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