Ricordo di Franco Enna
nel 30° anniversario della morte
Nel mese di luglio del 1990 moriva a Lugano, dove risiedeva oramai da molti anni, il giallista italiano Franco Enna, che la critica aveva giustamente soprannominato il “Simenon italiano” per la qualità della sua scrittura, per la finezza psicologica e lo studio d'ambiente dei suoi romanzi, che facevano della detective story un prodotto artistico e narrativo nettamente superiore rispetto alla grande massa di polizieschi di consumo proposti dall'editoria nazionale, anche la più qualificata. Franco Enna, il cui vero nome era Francesco Cannarozzo, era nato appunto ad Enna nel 1921, e aveva debuttato come giallista nel mondo letterario, stimolato da Alberto Tedeschi, che gli aveva consigliato di “vestire di giallo” i suoi romanzi e di firmarli con quello che poi sarebbe diventato il suo pseudonimo. Scrittore di largo successo, Enna vergò romanzi d'ogni tipo: dai gialli di facile consumo realizzati per l'incalzare di necessità economiche, alle opere più impegnative come L'occhio lungo e Violenza carnale (con il quale vinse nel 1946 il premio Grandi firme promosso da Cesare Zavattini), ai racconti per ragazzi.
La grande celebrità di Franco Enna fu però sempre legata ai suoi gialli, da alcuni dei quali furono tratti films di vasta rinomanza fra i quali va ricordato L'ultima chance, storia di un furto di diamanti con lunga catena di omicidi, interpretato da Fabio Testi e Ursula Andress.
Protagonista di molte sue creazioni fu il commissario Federico Sartori, un siciliano dalla straripante carica umana, deciso e risoluto nell'adempimento dei suoi doveri di giustizia, ma nello stesso tempo incline a riconoscere i limiti di quella stessa giustizia, che è chiamato a far rispettare (siamo certi che la figura di Montalbano creata da Andrea Camilleri sia in qualche modo debitrice a quella di Sartori). Nel commissario Sartori lo scrittore ha incarnato tutte le contraddizioni ma anche tutti i pregi del siciliano: focoso e irruente, incline alle avventure sentimentali ma visceralmente legato alla propria famiglia, egli è costruito come la coscienza inquieta e instabile degli anni 70.
Nel condurre e risolvere i suoi casi, l'ultimo dei quali narrato ne L'occhio lungo lo condurrà alla morte. Sartori non perde occasione per polemizzare acremente contro i politici disonesti, contro le loro eccellenze che non esitano ad allearsi con la mafia per realizzare il loro sanguinoso sogno di potere; il commissario sa che mondo del crimine e mondo del diritto sono due mondi che s'intersecano e a volte collimano fra loro, e che è un miracolo se il territorio del diritto non viene continuamente inquinato da quello del crimine, dalla politica e dalla mafia.
Enna era un uomo e uno scrittore che viveva con estrema autocoscienza il suo essere siciliano: conosceva l'omertà, la mentalità mafiosa, le ombrosità dei suoi corregionali e sapeva che l'uomo di legge deve sapersi adeguare al suo interlocutore, parlarne il linguaggio, accostarglisi in un certo modo per ottenere delle risposte. E così faceva agire il commissario Lo Cascio, nel trapanese arso dal sole e profumato dalla salsedine, e poi, e in seguito anche Sartori nella Milano borghese de L'occhio lungo.
A differenza di altri intellettuali siciliani, Enna ebbe una visione della mafia realistica, feroce e spietata, mai venata d'idilliaca nostalgia, di quel voluto autoinganno che intende scorgere nel mafioso l'erede di un cavalleresco brigante, quasi un moderno Robin Hood, probabilmente vissuto sempre e solo nella fantasia di certi romanzieri e saggisti alquanto superficiali e poco attenti ai fenomeni economcio-sociali.
Con una prosa secca, diretta e realistica, che talvolta sembra evocare certe splendide pagine di Ernst Hemingway, una prosa che sa però anche piegarsi ad agili e snelle descrizioni impressionistiche, dove un cielo carico di pioggia si trasforma per un istante in quel limpido e terso cielo siciliano che non finisce mai di commuovere Sartori, Enna costruiva i suoi gialli lineari, dove l'elemento poliziesco lasciava spesso il posto a momenti di grande distensione narrativa, o ad un intreccio sentimentale che ingentiliva la vicenda. Sempre misurato e controllato, l'autore non indulgeva mai a scene di violenza sanguinose e gratuite; preferiva attanagliare e coinvolgere il lettore col rigore della trama, con la sua scrittura quasi cinematografica, agile ed essenziale, più che con stilemi di tanti giallisti americanofili.
Franco Enna fu anche elegante e valido poeta, pubblicò infatti due volumi di liriche: Carnet d'amore (1986) e Segnali di fumo (1989) che a suo tempo recensii con grande piacere, ricevendo dall'autore, qualche mese prima della mort,e poichè lo scrittore era già stato colpito da un male inesorabile, una telefonata di gratitudine e ringraziamento, segno questo che mi confermò non solo lo spessore artistico ma anche quello umano di Franco Enna, al cui ricordo dedico dopo trent'anni questa mia piccola memoria.
Giovanni Pasqualino
12/7/2020
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