Un gioco da ragazzi
Mettiamo da parte per un attimo l'esperienza dei melomani, la conoscenza profonda della musica, l'importanza della tradizione, la frequentazione del teatro come atto sociale. Dimentichiamo la prosopopea, i grandi registi, le scene sfarzose. Immaginiamo invece un bambino di dieci anni, che entra in un teatro dell'opera per la prima volta; facciamolo sedere in platea a guardare e ad ascoltare, meglio se Mozart. Cosa succederà? Da cosa sarà maggiormente colpito? A nostro avviso, dalla musica e da quello strano modo di cantare, così innaturale e distante dall'abitudine. Immaginiamo ora un teatro dell'opera con una vocazione popolare, incastonato in una via secondaria dal nome poco altisonante, via Cartoleria, come se fosse un vecchio cinema del centro frequentato da chi abita lì vicino e il sabato vuol passare una serata diversa, distante dall'abitudine, come si diceva. É questo ciò che offre l'Orchestra Senzaspine al Teatro Duse di Bologna nella serata di sabato 5 ottobre 2019, una messa in scena de Le Nozze di Figaro per tutti, famiglie e anziani, habitués e neofiti. L'orchestra in questione non è nuova a questo tipo di esperienze, poiché ormai da tempo regala alla città iniziative eccentriche con l'intento di riavvicinare il grande pubblico al teatro lirico e, in generale, alla musica classica.
In un teatro in cui anche lo spazio riservato all'orchestra sembra concepito per abbattere i confini, con direttore e musicisti che fanno il loro ingresso strumenti alla mano dirigendosi verso la buca
– che buca non é poiché collocata allo stesso livello della platea
– fa un certo effetto notare che l'età dei suonatori non supera i 35 anni. Lo spettacolo è affidato alla direzione del Maestro Matteo Parmeggiani, anch'egli di giovane età, che propone una conduzione equilibrata e precisa, mai sopra le righe, profondamente rispettosa della leggerezza giocosa della musica di Mozart.
Come forse sarà già emerso in queste poche righe, ciò che ci ha piacevolmente colpito ed elemento sul quale si fonda l'intero spettacolo, é la grandissima cura dedicata all'esecuzione musicale: vorremmo infatti poter lodare con uguale convinzione scenografia e costumi, ma purtoppo in questo caso risulta evidente quanto la disponibilità di mezzi non illimitata influenzi l'ottima riuscita dell'allestimento scenico. Volgendo lo sguardo a questioni meno materiali, la regia di Dispenza ci mostra una virtù rara negli spettacoli moderni: il mettersi al servizio dell'Opera e per una volta dirigere senza per forza imporre una rilettura affettata e astrusa; lavorare per concetti registici elementari, costruendo uno spettacolo che potremmo definire di alfabetizzazione musicale
– missione di grandissima nobiltà e importanza
– con la voglia e l'impegno di far capire, e non stupire. Rientrano quindi in questa logica anche le due azioni, che potremmo definire di abbattimento della quarta parete, volute dal regista, e cioè il riuscitissimo gesto di ammiccamento che Figaro, dopo aver spiegato il suo intricato piano, rivolge al direttore e questi gli risponde con un bravissimo, o la scenetta, a dire il vero un po' forzata, all'inizio del quarto atto, quando un macchinista addetto al sipario e il direttore abbozzano una sorta di battibecco giocoso su chi debba iniziare per primo. Buone idee di regia ci sono, ma avremmo voluto vederle più amalgamate nella dinamica dello spettacolo, magari approfondendo alcune scelte sceniche
– bella l'idea di uno schermo retroilluminato, utilizzato per introdurre i personaggi fuori scena
– e sfruttandole maggiormente a supporto dell'intricatissima trama.
Indirettamente lo stile di regia ci ha fatto apprezzare l'ottima l'interpretazione dell'intero cast, anch'esso di un equilibrio udito raramente, su cui spicca la sontuosa voce della Contessa interpretata da Francesca Maionchi, una gamma di colori incredibilmente caldi e saturi, oltre all'assoluta padronanza della dinamica. Susanna, Irene Bonvicini, convince per le ottime capacità mimiche e un cantato in cui saltano all'orecchio pulizia, precisione e semplicità, così come Serena Dominici, Cherubino, grande espressività e abilità di gestione della maschera in situazioni di grande dinamicità fisica, sebbene quest'ultima a volte appaia leggermente eccessiva. Figaro é Alberto Bianchi, presenza imponente per fisicità e indiscussa capacità vocale, sempre puntuale e potente dove richiesto, ma a nostro avviso un po' carente in scioltezza mimica e sprovvisto del brio e della malizia che ci si aspetterebbero dal personaggio. Ottimo Abraham García González nei panni del Conte, una voce che si fa spazio sul palco, supportata da un physique du rôle da manuale e buone capacità attoriali. Buona la prova di Angelo Goffredi, Basilio, tenore cristallino e delicato, bravo a muoversi e a misurare la mimica, mai eccessiva, ma funzionale alla resa del personaggio. Nel caso di Enrico Marchesini, Bartolo, e di Alessandro Branchi, Antonio, la buona tecnica supplisce ad una presenza scenica che risente delle soluzioni, non proprio azzeccate, di costume e trucco. Marcellina é Adelaide Minnone, brava sul piano vocale ma non sempre disinvolta dal punto di vista attoriale, mentre se la cava egregiamente la giovane Anastasia Skenderaj, Barbarina, voce soave e interprete ben calata nel personaggio. Non vorremmo sembrare, con questo articolo, recensori schizzinosi abituati a ricche produzioni in teatri esclusivi, e per questo incapaci di apprezzare allestimenti semplici, tutt'altro che sfarzosi: lo ribadiamo, il vero valore di questo spettacolo sta nella genuinità e nella fattura artigianale, nel messaggio di piacere quotidiano e normale attribuito al teatro, ma siamo anche convinti che si possa fare di necessità virtù, valorizzando scelte registiche e sceniche attraverso il perseguimento di un'idea forte, pervasiva dell'intero spettacolo. Questo è, in fondo, lo spirito del teatro lirico, offrire uno spettacolo che stupisca su più livelli un pubblico ormai abituato alla magia del cinema. Uno spettacolo capace di affascinare un bambino di dieci anni.
Giovanni Giacomelli
7/10/2019
,
|