Norma
alla Fenice di Venezia
La riproposta dell'opera Norma di Vincenzo Bellini alla Fenice aveva come principale attrattiva la presenza di Mariella Devia nelle vesti della sacerdotessa. Dello spettacolo creato nel 2015 dall'artista americana Kara Walker ho già parlato a suo tempo. Riconfermo anche oggi le impressioni, personali che ne ebbi allora. Trasportare la vicenda nell'Africa coloniale è stata idea bizzarra e per nulla accattivante, ma probabilmente ciò è avvenuto per mancanza d'idee. Non metto in dubbio l'autorevolezza della signora Walker nel suo campo artistico, che peraltro conosco poco, ma per questo non ci s'improvvisa regista d'opera. Infatti, lo spettacolo mancava di drammaturgia, di una linea interpretativa teatrale, cui aggiungiamo costumi banali (coro al limite della risata), e una scenografia statica, probabilmente molto artistica, ma per nulla soddisfacente. La Walker sarà una delle artiste di maggior spicco del momento, è appunto invitata alla Biennale e lo spettacolo era un progetto speciale Biennale Arte 2015, ma questo non giustifica l'operazione soprattutto per il profilo artistico della signora che è improntata sulla specificità del suo paese d'origine, e tutto questo poco o nulla ha in comune con Norma. Tuttavia la produzione è stata realizzata e dovrà esser utilizzata per qualche anno, ma la dimenticheremo presto. Ben diversi i risultati musicali. Daniele Callegari, maestro direttore e concertatore, ha diretto con grande senso teatrale e meticolosa filologia, capace di tempi perfettamente equilibrati, cui si alternavano azzeccate intuizioni liriche-romantiche ad altre più strettamente drammatiche, risolte con efficace maestria e devo aggiungere una delle migliori prove da me ascoltate in teatro dal direttore milanese. Lo assecondava una precisa Orchestra della Fenice, la quale negli ultimi anni ha raggiunto un buon livello qualitativo tra i complessi delle Fondazioni Liriche, tuttavia anche in questo caso si deve registrare un'impronta sonora troppo fragorosa che va a scapito sia dell'ascolto sia nel prevalere sulle parti cantate, infatti, durante la recita il direttore continuava a indicare ai professori un contenimento di volume facendo segno di "piano" con la mano destra. Sarebbe auspicabile un ridimensionamento dell'organico poiché le dimensioni del teatro sono ristrette e tale disfunzione si è registrata anche in altre occasioni.
Molto buona la prova del coro istruito da Claudio Marino Moretti.
Il Pollione di Roberto Aronica è stato molto approssimativo perché spesso forzato e stentoreo, credo che il cantante non fosse in piena forma fisica. Tuttavia, bisogna riconoscergli un volenteroso tentativo di rendere variegato il fraseggio e modulare l'accento, ma il risultato è stato comunque limitato e inferiore alle attese.
Bella sorpresa l'Adalgisa di Roxana Constantinesco, più soprano che mezzosoprano, la cui vocalità combaciava bene con quella della protagonista, del resto la parte di Adalgisa fu composta in origine per soprano, in seguito soprattutto nel '900 fu affrontata prevalentemente da mezzosoprani per diversificazione di voce con Norma. La sua interpretazione è stata realizzata con un giusto accento molto espressivo e un fraseggio variegato; qualche acuto era leggermente forzato ma nel complesso una prova positiva e personalmente mi auguro di risentirla in ruoli più sopranili che strettamente legati al mezzosoprano.
Simon Lim, Oroveso, non lascia traccia pur avendo una voce corposa ma sperperando un valore canoro in un canto monotono e senza carisma. Molto bravo il Flavio di Antonello Ceron, professionale la Clotilde di Anna Bordignon.
Infine Norma, Mariella Devia. Il soprano ligure è la maggior cantante italiana da oltre trent'anni e su questo non vi sono dubbi o eccezioni. Ora giunta anche a un'età per un soprano ragguardevole (e voglia questo, essere un complimento) si può parlare di miracolo canoro per tecnica encomiabile, utilizzo dei fiati, varietà di colori e brillantezza nei passi di agilità. Tuttavia, Norma non è il suo ruolo e si sapeva ancor prima del debutto bolognese, confermato poi dalle recite sia a Napoli sia ora a Venezia. Le dobbiamo però l'attenuante che giunta nella terza fase della carriera ha tutto il diritto di affrontare ruoli non propriamente ideali, forse per sfizio oppure per sfida. La Devia non è un soprano drammatico d'agilità e pertanto non ha la struttura vocale idonea per i passi citati, per invettive furiose e per un recitativo (in Norma sovente impostato sul registro grave) ideale. Non sono critiche ma oggettive limitazioni di una voce che ci ha regalato momenti straordinari in altri repertori. La signora Devia però canta tutta la parte come la deve cantare e con la sua voce, le sue possibilità e soprattutto senza trasporti che potrebbero forse facilitare l'impresa. Inoltre affronta il ruolo in tono, il che è già un pregio rilevante. Pertanto troviamo una cantante che come sapevamo non ha una zona grave robusta e spesso è coperta o dall'orchestra o dagli altri cantanti in taluni passi dei concertati, ma ha accenti vigorosi, il fraseggio è molto migliorato (rispetto a Bologna) e la varietà di colori ancor più diversificati, qualsiasi tratto o patetico o drammatico trova un senso, anche se l'emotività teatrale è misurata. Qualcuno grida al miracolo, se non lo è, ci siamo molto vicini. La professionalità, l'incredibile talento, la ferrea volontà sono elementi che mi hanno fatto apprezzare la sua esibizione veneziana, cui concludo con un vero plauso e anche segno indicativo di vera grande artista applicata al canto.
Teatro esaurito in ogni ordine di posto, splendido successo per la compagnia e trionfo personale per Mariella Devia.
Lukas Franceschini
27/9/2016
Le foto del servizio sono di Michele Crosera.
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