Norma, l'arte di sacrificarsi
È stato necessario aspettare sessant'anni dalla fondazione dell'Opera Norvegese e dieci dall'inaugurazione del teatro dell'Opera di Oslo a Bjørvika, prima di poter assistere in Norvegia a un allestimento di Norma in forma completa. Non è però la prima volta che la tragedia lirica belliniana va in scena nella storia di questo Paese. Nel 1851, a venti anni di distanza dalla sfortunata prima assoluta alla Scala di Milano, quando ormai era celebrata nei teatri di tutta Europa, un giovane Henrik Ibsen assiste affascinato al lavoro di Bellini per due rappresentazioni di seguito nel teatro di Christiania e ne scrive un'entusiastica recensione. Non altrettanto lusinghiero è il suo giudizio sui suoi connazionali, che disertarono lo spettacolo. Norma lascerà profonde tracce nello scrittore norvegese, che vanno dalla omonima parodia sui personaggi politici contemporanei scritta lo stesso anno per il settimanale satirico «Handhrimner», fino al suo più celebre personaggio femminile, Nora. Il finale di Norma ritorna poi quasi identico in Rosmersholm, in cui i due protagonisti, non potendo più vivere insieme, vanno incontro alla morte gettandosi nella gora di un mulino.
Nella nuova produzione norvegese, il sipario si alza svelando una complessa scena rotante che sembra una moderna installazione artistica fatta di pannelli e ponteggi metallici: appare sotto angolazioni diverse, come Norma stessa si mostra nei diversi ruoli di madre, donna, amante, leader, sacerdotessa. La scena si presta bene alle intenzioni della regia e rende di grande effetto i momenti di insieme, occupa il palco quasi a spingere i solisti sul ciglio della buca dell'orchestra o in spazi limitati, ora privandoli della possibilit à di movimento, ora creando un'atmosfera raccolta. Sui pannelli vengono proiettati video in bianco e nero dell'orchestra: la regista Sigrid Str ø m Reibo ci ricorda che la storia di Norma è una narrazione e che il suo dramma è sul palcoscenico, cosa già fin troppo ben sottolineata nel momento in cui il coro, subito dopo la Sinfonia, entra in sala di nascosto, al buio, alle spalle del pubblico, per poi salire sul palcoscenico, senza mai più tornare indietro. È stato un espediente che il pubblico ha gradito, quasi come un tentativo di trasportarlo dentro la scena, precipitandolo nell'azione, o forse semplicemente per l'effetto di sorpresa, nonostante la rigida distanza che, al contrario, questa scelta della regia viene a creare. La scena rivelerà all'inizio del secondo atto anche una stanza segreta, piccola e profonda come la parte più intima dell'animo della protagonista, dove rivive il mito di Medea prima di esser vinto e dissolto dall'amore materno in una lotta di cuscini tra Norma e i suoi due figli.
Il direttore Antonino Fogliani, non alla sua prima prova sul podio del teatro norvegese – l'anno scorso aveva diretto La Cenerentola – ha dato una dimostrazione della sua fama di esperto nel repertorio del bel canto, restituendo un'esecuzione brillante ed equilibrata. Il ruolo della protagonista ê stato interpretato da Hrachuhi Bassenz, soprano agile nelle parti di coloratura e di un timbro caldo e brunito nel registro grave, là dove Norma esprime i suoi dilemmi psicologici. Ricorderò Adalgisa, il mezzosoprano Dshamilja Kaiser, per la sua solida potenza vocale. Pollione è stato affidato ad Arnold Rutkowski, che ha condotto bene la sua parte dopo un esordio incerto nella sua prima Aria, quando l'orchestra sembra prendere il sopravvento sulla voce, probabilmente a causa del dichiarato raffreddore, inconveniente ricorrente delle stagioni operistiche nel rigido inverno norvegese. Il baritono-basso Anders Lorentzson è Oroveso, voce esperta, interprete di innumerevoli ruoli, incarna la figura combattuta di padre e condottiero che, nel finale, scosso dall'ammissione di colpevolezza della figlia, assiste accasciato e immobile in un'espressione di dolore al dramma di Norma.
L'allestimento, nato da una collaborazione con l'Opera di Francoforte, dove si svolgeranno le prossime rappresentazioni, segna il debutto internazionale come regista operistico per la norvegese Reibo. Sul cartellone si legge: «Norma, l'arte di sacrificarsi». Ed è questo aspetto della complessa figura belliniana che nell'allestimento di Oslo si vuole maggiormente evidenziare, quel sacrificio anticipato già durante il Terzetto nel Finale del primo atto quando, proiettata su una parete – mentre i protagonisti cercano invano di capire chi di loro sia più colpevole – l'ombra di un'aquila che divora la sua preda preannuncia quella ragion di stato che esiger à le sue vittime nella catarsi finale.
Antonino De Martino
26/2/2018
Le foto del servizio sono di Erik Berg.
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