Peralada
Estremi che non si toccano
Il Festival ‘Castell de Peralada' arrivava alla fine con due diversissime espressioni artistiche. Alla chiesa del Carmen si viveva il momento più alto del Festival, un ottimo concerto di Piotr Beczala (al pianoforte una corretta Kristin Okerlund), successo di pubblico e critica con un programma che univa pagine liriche popolari e non tanto (accanto a Cilea, Verdi, Puccini e perfino Lehár e Gounod, figuravano il polacco Zelenski e Rimski) a Lieder noti e meno noti (Schumann, Richard Strauss, Beethoven e le cinque canzoni di Karlowicz) con in più versioni notevoli di due canzoni napoletane 'classiche' quali Core ‘ngrato e O sole mio. In forma smagliante, il tenore esibiva fraseggio, espressività, timbro solare, omogeneità di registri, tecnica e senso dello stile inappuntabili e una grandissima simpatia.
All'Auditorio del Parco invece l'unica opera in forma scenica – per così dire visto che era talmente povera che la versione di concerto, oltre che meno cara, sarebbe stata più interessante – era la Norma per la regia, praticamente inesistente, di Susana Gómez.
L'Orchestra di Barcellona e Nazionale della Catalogna esibiva questa volte più nome che qualità e la direzione povera ed erratica di Carlo Montanaro non contribuiva a migliorare le cose già dalla sinfonia. Il Coro di Cambra del Palau della Musica (preparato sempre da Josep Vila) si dimostrava competente, cosa che non si può dire nell'insieme dei cantanti. Bene i comprimari, Mireia Pintó e Jon Plazaola, inadeguato il Pollione di Josep Bros (che dimostrava di conoscere lo stile belcantista ma non aveva né lo spessore né l'insolenza degli acuti di un Pollione) e ancora più discutibile l'Adalgisa di Marina Prudenskaya, voce importante ma aspra, ingolata e inadatta al belcanto, a parte un italiano tutto particolare. Carlo Colombara era un dignitoso Oroveso ma nell'acuto si osservano delle tensioni e perdita di colore. Sondra Radvanovsky ha una voce enorme, abile anche a piegarsi a notevoli mezzevoci, ma non succede lo stesso con il canto di agilità e l'estremo acuto più di una volta diventa metallico. Ma per essere una grande Norma le manca soprattutto il senso della parola, la padronanza dei recitativi. Se poi si aggiunge che come interprete è solo discreta...
Jorge Binaghi
9/8/2013
La foto è di Josep Aznar.
Giobbe Covatta all'ABC di Catania
Una serata all'insegna dello sberleffo
La satira nasce con l'uomo e scopo degli attori comici è certo quello di divertire, allietare, svagare e ricreare il pubblico. Ma in verità ci sono forse due modi di indurre alla risata: uno più leggero, ameno, superficiale, che si avvale dell'eterno contrasto uomo-donna, della barzelletta, del calembour, del motto di spirito ecc; ed un secondo più mordace, tagliente, acre, ma dall'intento più profondo, che intende diventare pedagogico, irriverente verso governanti, politici ed alti magnati della finanza, quasi rivalsa beffarda dell'uomo comune.
Quest'ultima tipologia di satira è tipica del comico “impegnato”, del comico contestatario, che vuole dar voce ai deboli, ai vinti, agli sconfitti, ai diversi, agli emarginati, ai discriminati, insomma un comico alla Dario Fo, alla Maurizio Crozza ed appunto alla Giobbe Covatta, per distinguerlo da quello più ovattato, disimpegnato e quasi cabarettista, come Gino Bramieri, Raimondo Vianello, Sandra Mondaini ed altri.
Venerdì 19 novembre, presso il teatro ABC di Catania si è esibito Giobbe Covatta, un comico che ha evidenziato ampiamente di appartenere alla gamma dei comici che come scriveva Orazio intendono con le loro interpretazioni cogliere le profonde contraddizioni della realtà e del sociale, il cui intento è quello «ridendo castigat mores» e nel contempo oltre loro stessi di far ridere anche la gente mettendo in ridicolo figure di ministri, onorevoli, giornalisti, divi, politici e ogni sorta di personaggio della vita pubblica.
Bersagli quasi fissi dello humor partenopeo messo in campo dall'abilissimo, versatile e spassoso comico sono stati il presidente del consiglio Silvio Berlusconi ed i ministri Brunetta, Gelmini, Carfagna, Bondi, messi alla berlina con una verve davvero esplosiva, scoppiettante ed esilarante, rimarcandone perfino gli enormi strafalcioni e svarioni. L'attore ha dimostrato di essere un eccellente showman, riuscendo da solo a tenere la scena per quasi due ore, modulando la voce con estrema accortezza ed abilità, utilizzando una gestualità elegante e disinvolta ma sempre perfettamente contestualizzata, non annoiando mai, perfino quando ha proposto la lettura della Carta Internazionale dei Diritti dell'Uomo. Il foltissimo pubblico assiepato nella platea del teatro ABC ha gratificato Giobbe Covatta di lunghi, calorosi e reiterati applausi.
Giovanni Pasqualino
20/11/2010
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