Norma
conclude la rassegna Bellini notti d'estate
La stagione estiva del Bellini di Catania, dal titolo Bellini notti d'estate, che ha avuto inizio il 25 giugno e ha proseguito la sua attività tra Catania, Taormina e Morgantina, si conclude a settembre al teatro greco romano di Catania con Norma, il capolavoro di Vincenzo Bellini, che ha debuttato il 23 settembre, anniversario della morte del Cigno, con repliche il 25 e il 27. La rassegna, che ha annoverato eventi di notevole livello, fra i quali vanno senz'altro ricordati La Traviata, coprodotta insieme al Massimo di Palermo, e il concerto di Rick Wakemann, entrambi andati in scena a Taormina, e le esibizioni di Gino Paoli e del sassofonista greco Theodore Kerkezos in piazza Università a Catania, ha rinnovato l'interesse per il Teatro Bellini di Catania da parte del grande pubblico, in passato allontanatosi dal nostro Ente Lirico sia per la dilagante crisi economica, sia soprattutto per una miope politica artistica traducentesi in un'offerta spesso deludente se non di mediocre qualità. In tal senso, il teatro greco romano, gremito di pubblico alla prima di Norma, ha premiato il nuovo corso della Sovrintendenza, affidata alle cure di Roberto Grossi, che ha dimostrato come un'attenta gestione manageriale sia in grado di risollevare un teatro, proponendo eventi di grande interesse e capaci di attirare nuove fasce di pubblico.
La Norma che ha debuttato ieri sera si è avvalsa della regia di Giandomenico Vaccari, che ha proposto un allestimento di taglio abbastanza tradizionale, ma che aveva il merito di non sovrapporsi al libretto con più o meno cervellotiche deviazioni e modernizzazioni, e soprattutto riusciva ad inserirsi nel contesto del teatro greco romano, armonizzandosi il più possibile con lo sfondo. Il regista ha mostrato mano sicura nel movimento delle masse corali e ha aumentato la presenza dei figli di Norma sulla scena, facendoli apparire, unica deviazione al libretto, nella scena finale; tale innovazione ha impresso maggior pathos alla supplica della sacerdotessa e l'abbraccio di Oroveso ai nipoti appena conosciuti ha consentito un'ultima, struggente carezza della madre ai figli, che forse né Bellini né Romani avrebbero censurato. Meno convincenti sono apparse le scene svoltesi nell'abitazione di Norma, vuoi per la presenza di statue romane non proprio adatte all'ambiente, vuoi per un tavolino di legno più adatto a Cavalleria, vuoi in maniera particolare per un incongruo cavalluccio di legno che stonava con la presenza di Adalgisa, giunta per confessare il suo amore a Norma, e ancora ignara del legame tra lei e Pollione.
La direzione di Ivo Lipanovic ha optato per tempi abbastanza serrati, che hanno infuso velocità all'azione, evitando inutili compiacimenti, ma che hanno rischiato talvolta di banalizzare le scene più liriche ed intimistiche: in particolare, il primo duetto tra Norma e Adalgisa è risultato un po' convulso, privo di quello struggimento che direzioni più equilibrate (basti per tutte quella di Serafin) sono riuscite a donare al recitativo belliniano. Ottime invece le parti affidate al coro del Teatro Bellini, soprattutto “Non Partì” e “Guerra, Guerra”, dove l'orchestra è riuscita a trovare un perfetto equilibrio di sonorità, equilibrio peraltro evidenziato in tutta l'opera, dato che quasi mai i cantanti sono risultati sovrastati. L'orchestra del teatro ha confermato il suo stato di continua crescita: in particolare, gli interventi del primo flauto si sono rivelati molto espressivi e significativi.
Abramo Rosalen, nel ruolo di Oroveso, si è disimpegnato abbastanza bene, sia da un punto di vista scenico che vocale: pur se dotato di una voce non eccessivamente potente, ha evidenziato buon timbro, chiara dizione e una notevole comprensione della funzione espressiva e realmente musicale del recitativo belliniano, recitativo da curarsi quanto e come le arie e i duetti. In tal senso, molto efficace è stato il suo intervento sia nella scena quarta del secondo atto, dove ha interpretato con padronanza “Ah! Del Tebro al giogo indegno”, sia nel finale, quando ha saputo mutare con grande effetto il suo ruolo druidico in quello di padre sdegnato prima, affranto e commosso poi.
L'Adalgisa di Marina De Liso è stata senz'altro una gradevole sorpresa, sia per la bellezza del timbro che per la padronanza vocale: il ruolo, come di consueto, è stato affidato ad un mezzosoprano e non ad un soprano come prescriveva Bellini, ma è stato reso dalla De Liso con notevole musicalità e con quella cura nei recitativi che non ci si stanca mai di rilevare, ma che in Bellini, e in Norma in particolare, fanno la differenza tra una semplice esecuzione ed una reale interpretazione. La De Liso ha reso Adalgisa in tutta la sua freschezza e ingenuità, ma anche nel vigore della rinuncia nel secondo duetto con Norma, evidenziando ottima tecnica, padronanza nei passaggi di registro, eccellente dizione e notevoli doti drammatiche.
Il tenore Sung Kyu Park, Pollione, ha interpretato il suo ruolo con decorosa professionalità, ma la sua alquanto ristretta estensione vocale lo ha costretto a notevoli sconti nelle zone alte della tessitura, cosa che è risultata evidente nella cavatina “Meco all'altar di Venere”, dove le note più impervie sono state evitate; per il resto, pur possedendo una discreta zona media, si è trovato altrettanto a disagio nella zona grave, che talvolta risultava di scarsa udibilità.
Daniela Schillaci, nel ruolo eponimo, è sicuramente cresciuta professionalmente rispetto alla Norma interpretata a Taormina anni or sono per la regia di Enrico Castiglione e con Gregory Kunde nel ruolo di Pollione: più sicura in ambito vocale, soprattutto negli eccellenti filati e nella notevole zona media, dimostra tuttavia di non essere ancora riuscita a trovare l'esatta misura interpretativa di un personaggio sfaccettato come Norma. Molto a proprio agio nell'aspetto lirico della tessitura, con momenti di grande bellezza sia nel primo che nel secondo duetto con Adalgisa, e soprattutto poi in “Qual cor tradisti”, non ha dimostrato altrettanta sicurezza nei momenti dove il soprano drammatico deve prendere il sopravvento su quello lirico: in tal senso, molto poco convincente è risultato il famoso recitativo “Sediziose voci”, dove né il gesto né la vocalità sono riusciti a rendere l'aspetto sacerdotale di Norma; se “Casta Diva” ha creato un momento lirico di grande efficacia, non altrettanto la cabaletta “Ah bello a me ritorna”, sia per una generale lentezza inadeguata appunto alla cabaletta, sia per una notevole incertezza sia nella zona acuta che nelle agilità. Poco convincenti anche il terzetto con Adalgisa e Pollione, dove l'ira della sacerdotessa tradita non ha trovato un adeguato riscontro vocale, sia “In mia mano alfin tu sei”, anch'essa mancante di quella perfetta comprensione del modo in cui va affrontato il recitativo in Bellini, cosa che appare comunque la maggior pecca interpretativa di un soprano per il resto dotato di grandi qualità.
Giuliana Cutore
24/9/2016
Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando.
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