Quando la notte si anima di vita….
La notte, in tutte le sue declinazioni: la notte come oscurità di velluto, come gioco di ombre nato dal frusciare del vento tra le foglie umide, come il rumore del muoversi rapido di un insetto fra i rami o del volo di un gufo in cerca di prede, come manto stellato che solo la chiarità del gelo invernale sa rendere palpabile, come il rincorrersi della fredda luce delle lucciole da una siepe all'altra, insomma la vita brulicante che anima le tenebre di un giardino notturno. E poi la notte degli uomini: la notte come riposo, come passione, come alveo di vita di pascoliana memoria, come momento dei ricordi, come incubo, come paura dei mille rumori notturni che animano la casa, la notte come vita altra, come ore di libertà dai mille formalismi della vita, dai suoi mille impegni, come libertà di essere, come sogno… E la notte era appunto il tema di Night Garden, il bellissimo balletto ideato dal coreografo Anthony Heinl e prodotto da eVolution Dance Theater, andato in scena il 15 novembre (con repliche fino al 20) al Bellini di Catania: balletto magari insolito per gli standard del pubblico catanese, ma certamente in linea con le più avanzate proposte della danza moderna, proposte che ovunque, in Italia e nel mondo, riscuotono entusiastici consensi non solo perché più vicine al gusto attuale, a una scelta descrittiva lontanissima dal balletto classico, essenzialmente narrativo, ma anche e soprattutto perché aprono per così dire una finestra diversa sull'animo umano, sulle sue paure, sui suoi desideri spesso inespressi, esplorando quella soggettività intima negata all'affabulazione statica delle favole o delle rievocazioni storiche che costituiscono i temi principali della narrazione coreutica del passato. E chi ieri ha assistito a questo spettacolo (e non si venga a dire che non è adatto a un teatro lirico!) ha rivisto e forse rivissuto nel raffinatissimo gioco di luci, nutrito dalle più avanzate risorse della tecnica e da epocali contributi cinematografici, a partire dallo storico Fantasia e dal sogno di Dumbo, trascorrendo per il quarto movimento di 2001 Odissea nello spazio (Verso l'infinito e oltre), per nutrirsi infine dell'inno alla natura che percorre tutti gli effetti speciali di Avatar, tutte le sensazioni, ora piacevoli ora terrificanti, che le tenebre disegnano in un giardino, quando fiori e foglie sembrano animarsi di una vita propria, quando le lucciole (ormai pressoché scomparse dai campi e dunque dal nostro immaginario) ammiccano sui prati alle stelle del cielo, quando le forme mutano e trascolorano da un momento all'altro, e tutto sembra animarsi come i giocattoli dello Schiaccianoci fino all'alba, quando ogni cosa riacquista i suoi contorni definiti, statici, diurni.
Un balletto che riusciva a fondere in una superiore armonia e compostezza luci, musiche moderne di ottimo livello, abilità coreutica e acrobatica dei danzatori, sfruttando tecniche già ben collaudate dal cinema, e classici come l'effetto stroboscopico e le luci psichedeliche, per dare vita a una serie di quadri, dove le varie opzioni espressive fornite dal tema principale si snodavano su una tavolozza cromatica che sfruttava tutti i colori dello spettro, e i corpi dei danzatori, volutamente anonimi, luci tra le luci e non protagonisti, assumevano anch'essi un aspetto irreale, o per meglio dire illusorio, dato dai diversi colori che battevano sulle loro calzamaglie. Quadri affidati solo alle luci e alle musiche si alternavano a bozzetti di fondo, quasi sagome da teatro d'ombre, che fornivano l'ambito tematico sul quale si muovevano i giovanissimi protagonisti umani, dal dance captain Bruno Batisti agli acrobati e danzatori Carlotta Stassi, Matteo Crisafulli, Antonella Abbate, Giulia Pino, Leonardo Tanfani, Nadessja Casavecchia e lo stesso Anthony Heinl.
Un tipo di spettacolo che andrebbe proposto più spesso e che, se meglio pubblicizzato, potrebbe davvero riavvicinare i giovani al teatro d'opera. La sera del 15 infatti, chi scrive ha notato con piacere una media un po' più bassa di età tra il pubblico, pur non potendo fare a meno di notare, e con rincrescimento, che allo spettatore catanese medio manca una virtù, quella della curiosità: basta che uno spettacolo si discosti un po' da quelli che forse solo nella nostra città vengono intesi come canoni del teatro d'opera perché le diserzioni, anche tra gli abbonati, aumentino in maniera esponenziale, il che certo non torna a disdoro delle attente scelte della direzione artistica di Francesco Nicolosi, ma indica solo un certo becero provincialismo che affligge una grande fascia del pubblico catanese dell'opera, pago solo di vedere e sentire solo il già udito e visto fino alla nausea e preda di un riottoso e immotivato pregiudizio appena si programma qualcosa che nei teatri italiani e europei è praticamente all'ordine del giorno.
Giuliana Cutore
16/11/2019
Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando.
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