RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Le nozze di Figaro

tornano in un nuovo allestimento alla Scala di Milano

Dopo trentacinque anni il Teatro alla Scala ha deciso di produrre un nuovo allestimento de Le nozze di Figaro, mandando in soffitta lo storico allestimento di Giorgio Strehler utilizzato per ben nove stagioni. Infatti, è scontato che anche il teatro deve evolversi e cambiare, tuttavia, considerato il risultato finale, non era proprio il caso. Il nuovo spettacolo di Frederic Wake-Walker, con scene e costumi di Antony McDonald, mi ha lasciato all'inizio perplesso, al termine un po' irritato. A mio parere personale il regista ha sviluppato una lettura troppo “televisiva” a scapito della teatralità e a quanto contenuto, in tema di moralità, nel libretto. La prima rilevanza è che non esiste differenza sociale tra i Conti d'Almaviva e la giovane coppia di servi, errore grave, poiché siamo in un'epoca in cui tali differenze erano ben marcate. Tutto nell'insieme pareva una fiction, si può anche attualizzare ma non perdere il filo conduttore di ciò che si racconta. Durante l'overture si costruisce la scena, idea non nuova, ma fino al terzo atto ci poteva anche stare, pur trovandoci in un ambiente settecentesco patinato e stereotipato, poi gli stili si mescolano e la sala del terzo atto era arredata con elementi moderni che difficilmente erano concepibili. L'unico momento veramente emozionante è stato l'apertura della scena del II atto, scena bellissima e onirica. La concezione registica del teatro nel teatro è superata da tempo, e sembra che il regista volesse trasformare l'opera in una recita fine a se stessa senza sviluppare i temi del librettista e della morale sociale, mi distacca notevolmente dall'approvazione. Inoltre vi sono molte situazioni incomprensibili, o almeno non chiare. Che significato aveva quel prototipo di vecchio suggeritore in proscenio al lato prima sinistro poi destro che imbeccava in un paio di occasioni il conte nel recitativo? Che cosa rappresentava? Poteva essere Lorenzo Da Ponte che controllava il suo lavoro poetico? E le continue apparizioni di comparse in tailleur nero? Ora costruttrici di scene, poi imbianchine al terzo atto? La grande scena del giardino al IV atto illuminata a giorno, quando invece è sera e buio, mentre Susanna sale su un lampadario per cantare la sua aria? Che senso ha?

Ma è soprattutto il lavoro sui personaggi che resta incomprensibile: perché Figaro ogni volta che entra in scena, e anche durante molti recitativi, deve fare salti che non hanno senso? L'intrigante combutta tra la contessa e Susanna è decisamente travisata come fosse un'intesa tra amiche, dimenticando i ruoli sociali. Anche la recitazione intrisa di troppe situazioni da commedia buffa era forzata e in parte stridente con quanto espresso da musicista e poeta. I costumi erano in stile settecentesco pur con delle bizzarre soluzioni per gli abiti della coppia nobile.

Delude anche il versante musicale. Franz Welser-Most, che ascoltai proprio in Scala in un discutibile Fidelio qualche anno fa in una trasferta della Staatsoper di Vienna alla Scala, conferma anche in quest'occasione le sue ordinarie doti di concertatore. La sua lettura non ha lasciato tracce significative, poiché era impostata sulla più banale routine, slegata, lenta, e alterna in momenti nei quali non si comprende l'eccessiva sonorità o spento ritmo. Tali caratteristiche non hanno trovato corrispondenza né con la linea vocale degli interpreti né con l'azione teatrale. Inoltre, l'opera è stata eseguita con la soppressione delle due arie rispettivamente di Marcellina e Don Basilio, opinabile scelta, ma considerati gli esiti finali, poi non un gran male. Il Coro del Teatro alla Scala, diretto da Bruno Casoni, ha dimostrato la consueta professionalità.

Il cast era contraddistinto da un generale anonimato interpretativo, che ha fortemente condizionato la recita. Nel giovane e bravo protagonista Markus Werba non ho rilevato il consueto talento, piuttosto una meccanica sequenza di recitativi e arie senza anima. Peccato, perché la voce è sempre bella e le intenzioni erano affiorate ma non sviluppate. Golda Schultz, Susanna, è una cantante precisa, di buona e spigliata musicalità, e ha reso il personaggio con una manierata verve sia vocale sia interpretativa.

Lasciava perplessi Diana Damrau, Contessa, la quale era del tutto fuori luogo nel ruolo nobile, mancando di accento, fraseggio, e aulica introspezione malinconica. Penalizzata sicuramente da una regia fuorviante, non trovava una personale linea interpretativa ma si adagiava comodamente in schemi d'opera buffa del tutto estranei allo spartito mozartiano. 

Carlos Alvarez, nell'insolito ruolo del Conte, sfoggiava come di consueto la sua bella e rigogliosa vocalità, ma purtroppo era troppo legato ad altri repertori e aveva poca dimestichezza con un fraseggio "giocoso" e con le molteplici sfaccettature del ruolo.

Anonimo sia per voce sia per interpretazione il Cherubino di Marianne Crebassa, troppo sopra le righe, e decisamente sfogato Andrea Concetti nel doppio ruolo di Bartolo e Antonio. Migliore e di molto la Marcellina di Anna Maria Chiuri, brillante e divertente in questi ruoli di carattere cui va sommata una dizione perfetta e un canto puntuale. Senza memoria la prestazione di Kresimir Spicer, Don Curzio e Basilio, sovente slegato e troppo artefatto nel canto. Molto buona la prova di Teresa Zisser, Barbarina, e professionali le due contadine di Francesca Manzo e Kristìn Sveinsdòttir , provenienti dall'Accademia del Teatro alla Scala.

Pubblico molto perplesso e immobile, il primo applauso dopo un assolo è stato al terzo atto, prima tutto era passato in assoluto silenzio, tranne due applausi alla fine degli atti e alcune isolate ma sonore contestazioni rivolte al regista, ma eravamo alla terza recita e gli autori non erano presenti. Al termine la compagnia ha ricevuto un soddisfacente applauso mentre il direttore è stato più pesantemente contestato.

Lukas Franceschini

11/11/2016

Le foto del servizio sono di Brescia e Amisano - Teatro alla Scala.