Le nozze di Figaro
al Teatro Comunale di Bolzano
Al Teatro Comunale di Bolzano è stata rappresentata l'opera Le nozze di Figaro di Wolfgang Amadeus Mozart, unico titolo non contemporaneo della Stagione Lirica “Oper A 20-21” 2017. Una produzione importata interamente da Lipsia, spettacolo e cast, coproduzione tra Fondazione Haydn di Bolzano-Trento e Oper Leipzig. Scelta piuttosto opinabile, si sarebbe potuto collaborare alla produzione dello spettacolo e allestire l'opera con un cast specifico per la città del sud Tirolo, tuttavia le scelte della direzione artistica sono state diverse e purtroppo abbiamo avuto una rappresentazione che denotava parecchie lacune musicali.
Lo spettacolo era ideato da Gil Mehmert, regista, Jens Kilian, scenografo, e Falk Bauer, costumista. La scena era composta da un impianto fisso di una ricca casa anni '60 del XX secolo, sviluppata su tre piani collegati da scale a chiocciola o a ellisse. Si potevano chiaramente vedere le stanze da letto dei protagonisti e dei servi, nel piano di mezzo una serie di porte attigue che fungevano da guardaroba e servizi, al piano terra una rimessa per attrezzi da giardino, e con qualche veloce cambio scena, la nuova magione dei novelli sposi o il giardino per la scena finale. Non una novità questo tipo di struttura a vista, ma la felice mano di Kilian è elegante e misurata la sobrietà nei colori. I costumi sono tradizionalmente in stile con l'epoca in cui è sviluppata la vicenda (drammaturgia di Elisabeth Kuhne), molto cromatici e di buona fattura, salvo qualche eccesso di colore e stile se indossati da cantanti che non hanno fisico corrispondente all'idea del design, si poteva essere più accorti. La visione nel complesso era piacevole e dava modo con molta leggerezza di spostare l'azione in ambienti diversi. La regia di Gil Mehmert è sufficientemente curata nelle peculiarità drammaturgiche facendo vivere “la folle giornata” con ritmo e incisiva sequenza di avvenimenti. Avremmo preferito che non scivolasse su gags ormai logore, che nel teatro d'opera non trovano più spazio, come ad esempio il rockettaro Cherubino. Avrebbe potuto fruire meglio la situazione scenica, con tutte quelle porte che avremmo immaginato più utilizzate per entrate e uscite repentine offrendo maggior brio e vivacità. Non sapendo come impiegare il coro, questo è fermo e immobile, nobilitando la folta servitù del conte schierata. Nel complesso non era una regia innovativa ma neppure brutta, mancava solo di qualche idea più azzeccata. Poco efficaci le luci di Andreas Fuchs, in particolare nel notturno del quarto atto.
Sul podio abbiamo trovato Enrico Calesso, un giovane direttore trevigiano che svolge la sua carriera prevalentemente in area tedesca. La sua era una concertazione molto raffazzonata e poco precisa, soprattutto negli attacchi e nella scelta dei tempi. Inoltre, non mi è parso di ascoltare una chiave di lettura omogenea ma una scollante tempistica e poca coesione tra orchestra e palcoscenico. Avendo a disposizione l'Orchestra Haydn poteva ottenere molto di più, tanto che la stessa compagine era al di sotto delle qualità più volte ascoltate sia nel sinfonico sia nell'opera. Molto bravo il Coro Haydn, preciso e uniforme, ben istruito da Luigi Azzolini.
Un altro aspetto imbarazzante è stato il cast dei solisti, molto precario. Come sopra accennato, ci si domanda se valeva il gioco della trasferta da Lipsia. I migliori erano coloro che interpretavano le parti secondarie. Un bravissimo Don Curzio era Patrick Vogel, Marco Camastra istrionico e manierato Antonio, Magdalena Hinterdobler delicata Barbarina, Karin Lovelius simpatica e spiritosa Marcelliana, Randall Jakobsh un vigoroso Don Bartolo.
Note non positive erano rappresentate dall'insignificante Figaro di Sejong Chang, voce molto limitata sia in volume sia in estensione e con una linea di canto povera di armonici, e da Gal James, una contessa esile e sfibrata con blanda personalità vocale. Inespressivo il Basilio di Dan Karlstrom e poco coeso l'intervento delle due ragazze, Maria Eleni Giuliani e Anna Pellizzari.
Accettabile ma troppo sui generis il Cherubino di Wallis Giunta, più interessante il Conte istrionico di Mathias Hausmann pur non mantenendo sempre una linea di canto omogenea, il sillabato dell'aria era precario, ma la voce è importante e di buon colore. La migliore del cast era Olena Tokar, una Susanna molto rifinita in colori e accenti, mai petulante e con un buono stile vocale, preciso e molto musicale. Troppo poco per un titolo mozartiano d'eccellenza, ma dobbiamo anche accettare che in una stagione molto positiva un titolo poco azzeccato può capitare.
Il Teatro Comunale di Bolzano era quasi al completo e al termine il pubblico ha tributato a tutti un caloroso applauso di approvazione.
Lukas Franceschini
5/4/2017
Le foto del servizio sono di Kirsten Nijkof-Oper Leipzig.
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