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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

9/4/2016

 

 


 

Le nozze in sogno di Pietro Antonio Cesti

al Festwochen der Alten Musik di Innsbruck

Il Festwochen der Alten Music per celebrare il 40° anniversario della sua fondazione ha presentato una “nuova” opera di Pietro Antonio Cesti, Le nozze in sogno, che non era rappresentata da oltre tre secoli. Pietro Antonio Cesti (1623- 1669), sovente denominato anche Marc'Antonio, fu un compositore principalmente di opere liriche, ma anche tenore, organista, maestro di cappella a Innsbruck, e riconosciuto come uno dei maggiori compositori italiani della sua epoca. Circa la sua formazione musicale abbiamo notizie frammentarie e non certe. Spesso il suo nome è associato alla città di Venezia ove ebbe enormi successi, egli studiò musica con vari maestri, direttori delle cappelle musicali, tra cui Giacomo Carissimi. Cantò spesso nel coro di voci bianche e fattosi francescano divenne organista della Cattedrale di Volterra e Santa Croce a Firenze, dopo un periodo romano. In quell'epoca entrò sotto la protezione della famiglia De'Medici, comparendo per la prima volta in qualità di cantante d'opera per l'inaugurazione del teatro di Siena. Aderì al circolo letterario fiorentino l'Accademia dei Percossi, grazie al quale, conobbe Giovanni Filippo Apolloni e Giacinto Andrea Cicognini, due librettisti con i quali collaborò in seguito. Nel 1649 interpreta a Venezia il ruolo di Egeo nella prima assoluta de Il Giasone di Francesco Cavalli. Il debutto operistico certo fu Alessandro vincitor di se stesso, rappresentato a Venezia durante il carnevale del 1651, seguito a breve tempo da Il Cesare amante. L'anno successivo entrò regolarmente al servizio dell'arciduca Ferdinando Carlo a Innsbruck, dove rimarrà per circa cinque anni. Durante questo periodo mise in scena le sue opere più celebri: L'Argia, rappresentata per celebrare la presenza in città della Regina Cristina di Svezia, e Orontea. Nel 1665 fu scritturato alla corte diLeopoldo I d'Asburgo, presso la quale svolse l'incarico di maestro di cappella a corte e compose Il pomo d'oro. Rientrato a Firenze, grazie alla protezione dei Medici, morì nel 1669, a causa, secondo l'opinione di alcuni biografi, di un avvelenamento. I suoi lavori teatrali più celebri furono La Dori (Innsbruck, 1657), Il Pomo d'oro (Vienna, 1668) e Orontea (Innsbruck, 1656). Molti dei suoi drammi erano assai elaborati e includevano una grande orchestra, numerosi cori e diversi congegni meccanici, usati per rappresentare situazioni come gli dei che discendevano dal paradiso, battaglie navali e tempeste. Orontea, con le sue diciassette riprese nei successivi trent'anni, fu una delle opere più allestite nella seconda metà del Seicento. Molto rilevante fu il periodo trascorso nella capitale del Tirolo, stagione nella quale ebbero luogo molte composizioni allora celeberrime.

Le nozze in sogno, un dramma civile per musica, su libretto di Pietro Susini, fu rappresentato al Teatro degli Accademici Infuocati di Firenze il 6 maggio 1665. Solo recentemente studi musicologici hanno potuto attribuire con quasi certezza la paternità dello spartito a Cesti e se non la circostanza della messa in scena almeno la dedica che reca il nome del Cardinale Carlo De' Medici.

La vicenda, tipicamente barocca, fonde e amalgama elementi tipici delle opere di quel periodo: il gioco amoroso, lo scambio delle coppie, il travestimento attraverso l'ambiguità sessuale. I fatti si svolgono a Livorno, città libera creata dai Medici (ove persone di diverse culture, religioni e attività trovarono fertile terreno anche in virtù del porto commerciale), per cui si spiega il titolo Dramma civile derivante da “civitas”. Un ricco mercante vuole maritare la giovane nipote per interessi economici con un altro attempato signore benestante. Ma la giovane ama, riamata, altro coetaneo che non riesce a incontrare, pertanto quest'ultimo si traveste da donna, poiché siamo a una festa di Carnevale. I tentativi andati a vuoto, cui si deve aggiungere l'amore ingannevole del fratello di lei per il giovane ragazzo creduto donna, ma poi sfociato per l'altra donna del dramma, si concretano quando le giovani coppie organizzano una commedia nella commedia ingannando i vecchi, cui è stato somministrato un sonnifero, nel cui stato di sogno approvano il matrimonio dei giovani e sono giustamente gabbati. Molto complessa nel suo insieme ma non distante da tutte le altre commedie in musica, nelle quali è possibile ravvedere anche degli abbozzi della futura produzione Mozart-Da Ponte. Interessante rilevare che i personaggi interagiscono tra loro alterando gli schemi sociali e come pone l'accento il regista Pizzech “solo in una citta come Livorno, terra libera per tutti, ciò poteva avvenire”. Tale situazione è riscontrabile anche in un libretto forte e sovente irriverente nelle metafore dei personaggi. Altri temi sono l'eterno scontro tra giovani e anziani (i secondi ancorati al conservatorismo e al denaro saranno sopraffatti), la scaltrezza della classe inferiore dei servi (nel nostro caso uno di questi è parte importante nella risoluzione del dramma), e il teatro nel teatro, attraverso il quale emerge la sincerità del sentimento dei nostri protagonisti. La musica è indubbiamente di prim'ordine con toni sia comici sia drammatici, che non possono non sedurre l'ascoltatore attraverso una ricca gamma di emozioni in continuo scambio. I tre atti originali, in questa prima ripresa moderna concentrati in due, si differenziano nella prima parte come un'esposizione dei personaggi, dei fatti e dell'antefatto, la seconda in una drammaturgia più incalzante e briosa. Ma è il susseguirsi di arie, recitar cantando e sublimazione di affetti che affascina e segna in questa riscoperta barocca un elemento di assoluto interesse musicale.

Lo spettacolo è stato rappresentato all'aperto nel Cortile della Facoltà di Tecnologia dell'Università cittadina, un ambiente ristretto ma caratteristico che ben si adoperava per un'opera con pochi personaggi, assenza di coro e orchestra con organico ridotto. L'estro e la brillantezza del regista Alessio Pizzech hanno avuto la meglio su uno spettacolo realizzato con molta fantasia e grande senso drammaturgico che appagava nelle tre ore d'ascolto e visione. La scena funzionalissima e scarna di Davide Amadei era composta di grandi container di legno per spedizioni, rifacendosi all'attività commerciale portuale, i quali si aprivano a vista e creavano interni secondo la vicenda. Lo stesso scenografo ha curato anche i costumi, molto belli, di fattura che pur ricalcando un taglio tradizionale sommavano con gusto elementi più moderni. Quest'aspetto era voluto per assecondare l'idea drammaturgica del regista. Il quale è stato molto efficace nell'affrontare un libretto e una vicenda intricatissima. A mio avviso ha avuto la saggia idea di scegliere un'ambientazione “ibrida”, non storica ma neppure tutta moderna, utilizzando una via sempre in equilibrio e molto ironica sulle situazioni, paradossalmente talvolta assurde, ma anche veritiere che pur rifacendosi alla commedia dell'arte contengono elementi sempre attuali. All'inizio abbiamo visto il travestimento di Flammiro travestito da drag-queen. Ad essere sinceri avevo in un primo momento temuto il peggio, invece era un tocco originale di modernità, poiché il tema della festa di carnevale era molto sottolineato nel testo. I personaggi erano molto ben recitati, la drammaturgia briosa, la narrazione accattivante, e il susseguirsi delle scene realizzate in una lettura che come denominatore comune s'ispirava al classico teatro. Un lavoro perfettamente riuscito, e dobbiamo lodare Alessio Pizzech per aver saputo scavare in un libretto ostico, di non immediata percezione e con momenti stantii nella prima parte, realizzando una lettura che coinvolgeva e faceva sorridere. Lo stesso regista ha realizzato anche l'adattamento drammaturgico, spostando delle scene o delle arie nella loro sequenza per rendere più fluida la narrazione, senza ovviamente interferire sulla parte musicale. Posso dedurre che questo importante e difficile compito fosse stato già valutato ed elaborato molto tempo addietro con il maestro Alan Curtis, il quale avrebbe dovuto dirigere l'opera a Innsbruck se la repentina scomparsa non fosse sopraggiunta lo scorso anno. Lo spettacolo era a lui dedicato, poiché è stato una delle presenze più indicative del Festival.

Tuttavia, la sostituzione sul podio è stata molto interessante: Enrico Onofri, violinista d'indubbia fama del “Giardino Armonico”, molto esperto del repertorio barocco. Il direttore, che disponeva dell'ottimo Ensemble Innsbruck Barock, orchestra bravissima per aderenza stilistica e meraviglioso suono, ha saputo fondere teatro e recitazione in una concertazione di alto livello, sviluppando dinamiche sempre sostenute, una fluidità musicale di accompagnamento di ottima fattura e soprattutto di elevato spessore filologico.

Il cast oltre a esprimere nella sua complessità un ottimo apporto musicale, è doveroso osservare che sono stati anche straordinari attori, guidati con mano sicura e saggia dal regista.

Arianna Vendittelli era una Lucinda deliziosa e romantica che avuto modo di mettere in luce una voce molto duttile e ben organizzata nei diversi registi. Molto espressivo il Flammiro di Rodrigo Sosa Dal Pozzo, magari non sempre fermo nell'intonazione, ma valido in un fraseggio efficace. Yulia Sokolik, Emilia, evidenziava un personaggio arguto e brioso, disponendo di buona e duttile voce. La Filandra di Francisco Fernandez-Rueda era divertentissima nel ruolo en-travesti senza cadere nella volgare macchietta e avendo una riguardevole impostazione musicale.

I due vecchi ricchi mercanti erano interpretati con grande classe scenica da Rocco Cavalluzzi, Pancrazio, e Jeffrey Francis, Teodoro (anche nel breve ruolo di Ser Mosé). Il primo ha sfoderato una voce bella, pastosa, molto armonica e con ottimi colori, il secondo, dopo lunga carriera, ancora in grado di sostenere il ruolo di caratterista con voce ferma e sapiente musicalità.

Lelio era il giovane Bradley Smith, tenore dalla voce chiara ma molto pertinente in un canto armonioso e patetico. Bravissimo il controtenore Konstantin Derri, Scobrio, puntualissimo nei suoi difficili interventi, ha dimostrato una rilevante padronanza tecnica con una voce solida e molto sicura nel registro acuto. Esuberante il Fronzo di Ludwig Obst, giovane baritono di buone attese che ha sapientemente accomunato personaggio e vocalità precisa nei suoi interventi.

Il Cortile dell'Università era gremito dagli appassionati del Festival e al termine tutta la compagnia ha ricevuto un meritato e doveroso trionfo.

Lukas Franceschini

25/8/2016

Le foto del servizio sono di Rupert Lart – Innsbruck Festwochen.