L'ombra chiara
ultima silloge di Biagio Salmeri
Circa diciotto anni addietro, in un saggio di sette paginette dal titolo “L'iter poetico di Biagio Salmeri”, pubblicato nell'antologia di scritti Siciliomi, Annuario Siciliano della casa editrice Prova d'Autore, avevo cercato di descrivere l'evoluzione stilistica e letteraria del noto poeta catanese avvenuta fin dai suoi esordi con la raccolta Ombre sul molo, alla quale dopo circa otto anni era seguita una raccolta che era valsa la prestigiosa affermazione in campo nazionale al Premio Montale. Analizzavo poi, anche se in modo alquanto sommario, le pregevoli raccolte La via umida con prefazione di Salvatore Silvano Nigro (premio Dario Bellezza Opera Prima) ed Egosintonie domestiche che segnavano un ulteriore progresso della sua originale e particolarissima creatività. Qui si fermava il mio studio anche se negli anni successivi Biagio Salmeri ha continuato a produrre in modo lento e poco frenetico ma segnando ad ogni nuova pubblicazione una tappa di crescita e maturazione di notevole livello artistico.
Così nel 2002 è stata la volta de L'esatta cubatura del vuoto con prefazione di Elio Pecora, seguito da La pace e il dissenso con prefazione di Maurizio Cucchi del 2007, fino a giungere a L'ombra chiara, sua ultima raccolta, stampata in un'elegante veste tipografica dalla casa editrice Passigli e che si avvale di un'estrosa e acuta presentazione di Angelo Scandurra.
Anche nella sua ultima pubblicazione Biagio Salmeri resta il cantore del disagio esistenziale, dell'inesorabilità del tempo, del dramma dell'uomo gettato su questa terra senza un perché determinato e definito. Le sue liriche utilizzano sovente una parola arsa, secca, scarnificata e ridotta all'osso. Inoltre la sua poesia non si prefigge alcun intento di critica sociale o riscatto sociale. Essa si ammanta soprattutto di un'atemporalità cristallizzata e sterilizzata in uno spazio tempo psicologico e non sicuramente logico o cronologico.
Da tutta la sua produzione ed ancor più da L'ombra chiara emerge uno struggente e dirompente nihilismo solipsistico, mai adulatorio o consolatorio: «Amo del verme l'arte dello scavo, /e dello scrivere che intacca/la cellulosa della pagina, /e che apre fori, spiragli, voragini/nel senso di chi legge». Cinque versi posti ad ex ergo ammonitorio sulla copertina del volume, quasi voler mettere sull'avviso il lettore sguarnito o troppo sensibile o suscettibile a non procedere oltre nella lettura senza essere preparati a modulazioni umane inquietanti e scabrose sulla tragedia del vivere e del sopravvivere. Insomma l'ultima raccolta poetica di Biagio Salmeri si rivela quanto mai significativa, avvincente e perturbante, adatta però a palati forti e robusti, atti a gustare e digerire i cibi amari destinati solo e solamente ad esistenze che fissano su fondamenta di autenticità la propria essenza.
Giovanni Pasqualino
6/1/2018
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