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L'opera italiana: lingua e linguaggio di Fabio Rossi

Nei meandri linguistici del libretto d'opera

Fra le interessanti pubblicazioni degli ultimi tempi non può non essere citato il volume di Fabio Rossi L'opera italiana: lingua e linguaggio, edito da Carocci e uscito nel settembre del 2018. Il libro è interamente dedicato al meccanismo e alla funzione del testo poetico (il libretto) analizzato dall'autore, docente di Linguistica italiana all'Università di Messina, dal punto di vista semiotico, linguistico e di resa teatrale.

Dopo avere brevemente descritto l'origine del melodramma e i suoi presupposti estetici, l'autore passa a spiegare la differenza fra aria, recitativo, cabaletta, arioso, ensemble e alla funzione strutturale che essi assumono all'interno dell'opera. E a proposito dei pezzi d'insieme Rossi annota molto congruentemente: «Con le parti a più voci, il melodramma si riconcilia, potremmo dire, a poco a poco con la polifonia… Sebbene l'intreccio di voci riduca la comprensibilità del testo verbale (ma il melodramma dispone della musica, a risarcimento delle parole scarsamente intellegibili, come plusvalore semantico), il canto simultaneo di più personaggi rappresenta una straordinaria risorsa semiotica dell'opera lirica, in grado così, molto più del teatro di parola, di esprimere sentimenti, idee e azioni contrastanti in uno stesso lasso temporale».

Più avanti l'analisi si sofferma sulle risorse semiotiche e sulla costruzione del senso nell'opera in musica che di fatto sono tre: la parola, la musica e la scena, interagenti e intersecantesi l'una con le altre. Inoltre viene anche analizzata con molta cura la differenza di linguaggio fra opera seria e opera buffa, nonché la loro diversa funzione socio-culturale anche all'interno del mondo dell'opera e della ricezione da parte del pubblico: «Peraltro l'opera buffa, nella sua congenita vena realistica, già nel Settecento fa da contraltare alla seria».

Riguardo alla così detta filologia dell'opera viene evidenziato che essa rimane spesso un'araba fenice irraggiungibile, perché a essa si oppongono per prima cosa la prassi invalsa in molti musicisti di modificare e adattare i versi del librettista alla propria creatività, poi l'abitudine di certi compositori di favorire o meno alcuni cantanti con la modifica o l'introduzione di particolari arie, e infine certe tradizioni esecutive che spesso da un punto di vista storico si consolidano in modo tale da rendere inaccettabili modifiche o soluzioni alternative: «Di un libretto, poi, l'edizione critica semplicemente non ha senso, perché il libretto non esiste come testo autonomo – esattamente come la sceneggiatura: ‘una struttura che vuol essere altra struttura'… – ma solo in funzione delle singole recite. L'obiettivo dell'edizione critica di una partitura, in fondo, è essenzialmente pratico, vale a dire quello di fornire ai realizzatori un testo che possa essere eseguito».

Rossi più avanti si sofferma anche sul linguaggio dei libretti d'opera nel quale abbondano iperbati, chiasmi, perifrasi e circonlocuzioni, l'uso dei verbi al passato remoto, senza tralasciare la funzione di acculturazione svolta dall'opera nei confronti dei ceti medi e popolari, individuando in essa quello che la televisione fu negli anni Cinquanta e Sessanta per l'Italia post bellica, cioè veicolo di diffusione della lingua nazionale!

L'utile e valido volume è chiuso dall'analisi dettagliata dei libretti di tre opere: Adriano in Siria di Pietro Metastasio, La contadina astuta, o Olivietta e Tracollo di Tommaso Mariani, La Cenerentola ossia la bontà in trionfo di Jacopo Ferretti. A corredo finale il lettore troverà anche una folta e circostanziata bibliografia.

Giovanni Pasqualino

9/7/2019