Asmik Grigorian magnifica Rusalka a Napoli
Nel racconto “Ondina se ne va” di Ingeborg Bachmann, riscrittura della nota vicenda fiabesca, la sirena divenuta donna torna nel suo mondo acquatico, delusa dal comportamento degli uomini. L'interesse della scrittrice austriaca per la narrazione leggendaria, declinata nel tempo in innumerevoli incarnazioni, ne testimonia l'attualità. Il mito e la fiaba, eternamente presenti, ci parlano senza necessità di filtri. Nel mettere in scena Rusalka, titolo inaugurale della stagione del Teatro San Carlo, il regista Dmitri Tcherniakov decide di immergere la vicenda nella contemporaneità. L'opera, frutto teatrale più noto del compositore Antonin Dvorák, racconta l'impossibile conciliazione fra uomo e natura; la dualità che lacera l'essere mitico testimonia la sua sostanza inafferrabile, la sua irredimibile solitudine. La presente recensione si riferisce all'ultima recita, in scena il 7 dicembre scorso. Nell'affrontare questa vicenda intrisa di simbolismo Tcherniakov, al suo esordio nella città partenopea, sceglie un percorso del tutto peculiare impaginando la fiaba come una graphic novel. Le proiezioni, opera di Alexey Poluboyarinov e Maria Kalatozishvili, ci introducono in una sorta di lungo cartoon, mentre i costumi di Elena Zaytseva rimandano all'odierna quotidianità. Rusalka, parte di una squadra di nuoto sincronizzato, intrattiene una relazione sessuale con il suo allenatore, cioè con lo Spirito delle Acque, il Vodník. Investita dal Principe, giovane scapestrato alla guida di un'auto sportiva rosso fiammante, viene curata e portata nel suo mondo fatto di lusso e superficialità, fino al tragico e inevitabile epilogo. Il video scorre rimodellando la trama in maniera piuttosto didascalica, mentre i protagonisti appaiono incasellati in spazi che si aprono e si chiudono a seconda delle esigenze drammaturgiche. Il gioco non convince nel primo atto, che passa in maniera piuttosto monotona. Nell'ultimo atto uno spazio la cui oscurità è rotta solo dalla luce algida dei neon ospita l'infausta conclusione. Fulcro e momento più riuscito dello spettacolo la festa del secondo atto, durante la quale Rusalka si maschera, appunto, da Rusalka. Esibita come un fenomeno da baraccone, del tutto fuori contesto sui suoi tacchi altissimi che la fanno barcollare paurosamente, la protagonista comprende la vanità del suo sogno d'amore. Merito anche di una magnifica Asmik Grigorian aver reso questo momento memorabile. Nel duetto con Vodník la fanciulla si toglie con gesto drammatico la lunga parrucca, spogliandosi del suo costume posticcio per rivelare tutta la propria vulnerabilità. Qui l'interprete sale in cattedra. Asmik Grigorian non è solo una donna tradita ma è un essere fragile, il quale prende coscienza della propria alterità. Impossibile non sentire un forte sentimento di pietà verso questa creatura, alla quale è negata la pienezza dell'amore. L'identità incerta, il trovarsi in bilico fra due mondi, il non essere di casa da nessuna parte, qui risiede il dramma di Rusalka e la sua eterna attualità. Dvorák, del resto, mostra evidente la propria compassione nei confronti della protagonista. Come il wagneriano Lohengrin, per poter accedere al mondo degli uomini e gustare l'amore, l'essere soprannaturale non deve rivelare il proprio nome. Nel caso di Rusalka si aggiunge un altro elemento; il mutismo imposto dalla strega Ježibaba quale condizione per attingere all'umano. L'impossibilità della parola ben rappresenta l'impermeabilità fra le due dimensioni.
Ma torniamo allo spettacolo. Riconducendo la vicenda a un'ambientazione urbana, Tcherniakov sottrae del tutto la dimensione naturale, ben presente nella trama (il libretto è opera di Jaroslav Kvapil) quanto nella musica. Forzata e in contrasto con il dettato librettistico l'idea di trasformare il guardiacaccia e lo sguattero nel padre e nella madre di Rusalka, per inscenare un dramma familiare che non ha molto senso. L'ondina, infatti, è un essere che appartiene totalmente alla natura. La strega Ježibaba non abita la consueta capanna, ma un appartamento in un condominio. Il suo aspetto richiama l'immagine di una corpulenta e volgare ciarlatana, pronta a imbrogliare il babbeo di turno. Toglierà la voce a Rusalka con un bacio saffico che fa il paio con le tastatine elargite generosamente dal Vodník allenatore alle ninfe nuotatrici. A lui il compito di sgozzare il principe, trasformando una morte intrisa di lirismo in un atto criminale. Il direttore Dan Ettinger smussa i toni onirici e fiabeschi per precipitare la vicenda nella cruda realtà, in linea con il dettato registico. Ne risulta una direzione apprezzabile per il passo drammatico, ma non particolarmente attenta alle sottigliezze timbriche di cui la partitura è pregna. Buona la prova dell'orchestra, ottimo il coro. Riguardo il cast della eccellente Grigorian, al suo debutto al San Carlo, si è già detto. Voce governata con naturalezza, presenza scenica abbagliante, ma specialmente carisma allo stato puro. Eccellente la Principessa straniera di Ekaterina Gubanova, ben cantata e di travolgente sensualità. Ottimo il Vodník di Gábor Bretz, scenicamente esuberante la strega di Anita Rachvelishvili, anche se un poco disordinata nell'emissione. Adam Smith ha timbro piuttosto arido, acuti faticosi e scarsa sensibilità nel rendere con sufficiente lirismo il sacrificio conclusivo del Principe. Buone le parti di contorno. Allestimento che ricorderemo, soprattutto, per la magnetica presenza della Grigorian.
Riccardo Cenci
11/12/2024
La foto del servizio è di Luciano Romano.
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