La prima Tosca di Daniel Harding
Opera di ambienti la Tosca di Giacomo Puccini, fortemente caratterizzata dai luoghi iconici della geografia romana; dramma incentrato sull'azione, dal passo veloce come giustamente scrisse Julian Budden nella nota pubblicazione che dedicò al compositore lucchese. Un lavoro che, in linea teorica, dovrebbe soffrire della rappresentazione in forma di concerto. Ipotesi che si rivela errata dopo aver assistito alla recita inaugurale della stagione ceciliana presso l'Auditorium. Daniel Harding, al suo primo cimento in questo titolo e al suo debutto come direttore musicale dell'Accademia, mostra padronanza assoluta del dettato pucciniano. Si pensi al crescendo inesorabile del Te Deum, solenne, ieratico e oscuro al tempo stesso, progressivamente gravido di tensione. Anche la marcia del plotone d'esecuzione nel finale appare come l'implacabile materializzazione di un destino avverso e beffardo. Magnifica l'alba romana del terzo atto, pervasa da colori pastello a tratti turbati dall'alito mefitico di Scarpia, la cui presenza incombe ancora sulla vicenda. Gli esempi potrebbero seguitare a lungo. Harding offre una lettura pregna di sostanza teatrale, emotivamente coinvolgente, drammatica ma mai eccessiva. L'orchestra dimostra piena sintonia con il suo nuovo direttore, il che appare foriero di pregevoli risultati futuri.
Riguardo il cast, Ludovic Tézier è uno Scarpia formidabile, colmo di aristocratica tracotanza e di inesausto desiderio, insinuante come si conviene. Il canto è tutto giocato sui valori della parola, su un eloquio vario e continuamente mutevole. Ogni frase ha il giusto colore, ogni accento apre abissi nell'anima del personaggio e di chi gli sta accanto. Eleonora Buratto è una Tosca ragguardevole, maggiormente a proprio agio nei fraseggi ampi e nelle grandi arcate canore che nelle improvvise puntature drammatiche. Eccellente Vissi d'arte, rievocazione di un passato estinto eseguita con toccante partecipazione emotiva. Jonathan Tetelman ha dalla sua una notevole presenza scenica, unita a un timbro molto bello e a una dizione cristallina. A volte si ha l'impressione che voglia sfoggiare i propri acuti luminosi, più che scavare a fondo nel personaggio di Cavaradossi. La sua prova è comunque da ricordare. Buono l'Angelotti di Giorgi Manoshvili, mentre apprezzabile è apparso il sagrestano di Davide Giangregorio. Una menzione merita infine il pastorello di Alice Fiorelli. L'esecuzione, salutata da calorosi applausi, è stata registrata dalla Deutsche Grammophon per una successiva pubblicazione.
Riccardo Cenci
23/10/2024
La foto del servizio è di Accademia di Santa Cecilia/MUSA.