RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Lyra e Musa

di Piero Mioli

Qualche mese addietro, a cura della casa editrice felsinea Pendragon, nella collana Settime diminuite diretta da Antonio Castronuovo, è stato pubblicato il corposo volume (si avvale di ben 669 pagine) Lyra e Musa, come la musica d'opera racconta la storia del mondo, del critico musicale e musicologo Piero Mioli. L'autore ha dato vita a un saggio denso, avvincente e trascinante che si avvale di uno stile agile, scorrevole, lieve e talvolta anche simpaticamente ironico, in ogni caso sempre lontano da conduzioni tediose o pedanti.

Altro grande pregio del libro ci è parsa l'ottima capacità di sintesi attraverso la quale l'autore è riuscito sempre a evitare inutili lungaggini e banali prolissità, contenendo la sua esposizione sempre entro linee semplici, chiare e ben strutturate. Il saggio infatti riesce a dare un quadro quanto mai completo ed esaustivo di tutte quelle che sono state le fonti mitiche e letterarie che hanno fornito le trame a quel meraviglioso fenomeno artistico che esiste oramai da almeno quattro secoli e che va sotto il nome di opera in musica o melodramma che dir si voglia.

Lo studio di Mioli dimostra in modo inequivocabile e incontrovertibile come nell'opera in musica si sia di fatto cristallizzato un immenso patrimonio culturale attraverso il quale sono stati rielaborati e trasfusi miti, leggende, eroi, guerrieri, condottieri, divinità, personalità storiche, appartenuti alle civiltà egizia, assiro-babilonese, ebraica, greca e romana, attraversando anche l'alto e il basso Medioevo, l'Umanesimo, il Rinascimento, il periodo barocco, l'Illuminismo, la temperie romantica, il Decadentismo, il Verismo per arrivare fino ai giorni odierni.

Lo scrupoloso e attento musicologo bolognese, con la professionalità e la competenza che lo contraddistinguono, di fatto analizza, decodifica, destruttura per poi ricomporre, ricollegare e interconnettere in modo congruente e organico (con metodologia quasi strutturalista?) i vari argomenti e tutta la produzione del teatro lirico dalla sua nascita (1600) all'epoca contemporanea (2000). Nelle ultime pagine del libro egli stesso annota: “Sono quattro secoli che la complessa arte del melodramma (o, se si vuole, la semplice realtà del teatro musicale) s'ingegna a ritrarre, con i suoi noti mezzi, frammenti di cronaca, fantasia, storia e mitologia antica, medievale, moderna, contemporanea, e abbellisce o anche svilisce spettacolarmente e moralmente quelle vicende, quei personaggi.”

E aggiunge più avanti riferendosi precipuamente all'aspetto visivo dell'Opera che non dovrebbe mai prevaricare né distrarre eccessivamente dall'ascolto della musica: “In un genere teatrale la scenografia è assolutamente necessaria, e la storia del genere è passata da fastose scene di regge, piazze, giardini, porti e prigioni sempre verdi, sempre buone per un'Ercole come per un'Armida a scene non meno ricche ma almeno più specifiche come quelle di un Trovatore o un Parsifal, cioè, fra Barocco e Classicismo e così via, da una generica a una particolare verosimiglianza. Ma negli ultimi decenni, quella che in fondo è una vera forma di interpretazione psicologica, verbale, gestuale, scenica ed è un settore della storia d'assieme del genere, è scesa nell'inverosimiglianza assoluta: tutto sembra possibile, tutto dipende dal pensiero dello scenografo; e siccome lo scenografo è il regista stesso o un coautore, con lui, dello spettacolo, la parola può passare alla regia.” E qui l'acuto studioso presenta un bel conto a certe invadenti e inopinate regie contemporanee tendenti a prevaricare, spesso e ancor più a stravolgere, alterare e deformare non solo la linea dell'azione ma anche la pregnanza, la coerenza e la cogenza del libretto, che è sempre parte integrante della partitura. Piero Mioli a tal proposito conclude il suo saggio citando proprio il Cigno di Busseto che in una lettera a Giulio Ricordi del 2 novembre 1886 si lamentava del fatto che se il pubblico avesse prestato attenzione più a scenografie e costumi che alla musica ciò si sarebbe rivelato un disastro: “E Verdi sbottò che se un pubblico, a teatro, elogia qualcosa della scena vuol dire che quella musica non gli ha detto proprio nulla. Che guaio!”.

Giovanni Pasqualino

15/4/2024