RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

L'altro Falstaff

Anche se la vulgata del Salieri avvelenatore di Mozart oggi è tenuta in vita solo da qualche disinformato cultore di Milos Forman (quanto ai cultori di Puškin, in Italia si sono estinti da tempo), resta fermo che la Storia non ha reso giustizia a questo musicista: che agì in un contesto fertilissimo (la Vienna del tardo diciottesimo secolo) assumendovi una posizione privilegiata (compositore di corte); calcò le scene parigine ponendosi non come l'ennesimo italiano competitore di Gluck, ma il suo più naturale epigono; zigzagò tra opera seria e opera buffa con indubbio eclettismo; e fece fiorire un genere intermedio – il cosiddetto “eroicomico” – che per una breve stagione seppe affiancarsi al più cristallizzato filone “semiserio”.

A tutt'oggi però Salieri viene circoscritto (e liquidato) più come intellettuale che come artista. Come a dire, un autore fedele al culto della “fattura” anziché dell'“ispirazione”; accademico nel comico e pedante nel tragico; eclettico, sì, ma per saldezza culturale, non estro creativo. Tuttavia, sta di fatto che nessun altro operista di quei tempi seppe restituire in musica il ventaglio di sollecitazioni letterarie dispiegato nel catalogo di Salieri, arpeggiante sulle corde di Cervantes, Goldoni, Beaumarchais, Shakespeare, Ben Jonson: non c'è suo contemporaneo – Mozart incluso – che seppe fare altrettanto e riproporne oggi il Falstaff, come ha fatto il Teatro Filarmonico di Verona per l'apertura di stagione, appare dunque stimolante. E lo è non tanto, o non solo, per azzardare improbabili paragoni con l'omonimo capolavoro verdiano, quanto per capire come – alla vigilia delle riletture shakespeariane che sarebbero sopraggiunte in chiave romantica – il Bardo veniva introiettato dalla cultura italo-viennese degli ultimi bagliori del Settecento.

Fedele all'assunto «Prima la musica, poi le parole», che non a caso fu pure il titolo di una sua opera, Salieri evita tentazioni canore “centrifughe”: il canto sillabico prevale sul virtuosistico, arie e duetti non indulgono a iterazioni e sono perlopiù di breve durata. Gli assoli orchestrali, invece, hanno una valenza semantica da opera seria e – in una sorta di classicismo applicato all'opera buffa – la scena della quercia di Herne sembra assumere quasi un retrogusto gluckiano. Al contempo, però, questa drammaturgia musicale deve molto a un libretto forse perfettibile nella sceneggiatura (sebbene il canovaccio delle Allegre comari di Windsor venga assai sfrondato, il ritmo manca un po' di speditezza), ma certo vivido ed elegante nella versificazione. Ne è autore Carlo Prospero Defranceschi, giurista e letterato tutto da riscoprire: il quale, pur mettendo al centro non tanto il protagonista quanto le tre beffe – una in più rispetto a Verdi e Boito – cui viene sottoposto (Falstaff, ossia le tre burle è appunto il titolo originale del libretto), dà vita a un personaggio caricaturale ma umanissimo, scavalcando quell'Hanswurst che è il Sir John nella rilettura degli operisti tedeschi, da Dittersdorf a Nicolai. Meno umanizzate, semmai, appaiono le comari, delle quali emerge la perfidia più che la solidarietà femminile.

Fortemente voluto dalla sovrintendente Cecilia Gasdia, che quasi quarant'anni or sono fu interprete a Parma dell'ultima ripresa italiana del Falstaff salieriano (protagonista l'indimenticabile Domenico Trimarchi), lo spettacolo ha trovato in Paolo Valerio un autentico regista di prosa: capace, cioè, di valorizzare ogni meccanismo teatrale di questa sempiterna commedia, in un gioco di specchi – scene di Ezio Antonelli – che oltre alle immagini riflettono una società del benessere e, appunto, dell'apparenza, dove per il decaduto e grassissimo Sir John non può esservi posto. Al contempo, v'imprime una spolverata di venezianità (i costumi sono dello stesso Valerio), che rimanda alla commedia di caratteri goldoniana. E, con essa, a quella sotterranea comunanza tra Goldoni e lo Shakespeare comico che serpeggiava nell'immaginario settecentesco.

L'orchestra veronese ha ben risposto al puntuale direttore Francesco Ommassini, sempre molto attento ai dettagli strumentali, nonché responsabile di qualche taglio nel secondo atto utile a velocizzare il passo quando la commedia è in dirittura d'arrivo (benché in tal modo chi non conosce la vicenda shakespeariana, o l'adattamento verdiano, rischia di non cogliere tutti i tasselli del puzzle burlesco). Notevole poi la prova del coro, che sotto la guida di Roberto Gabbiani assurge a uno spessore coprotagonistico; mentre il fronte degli interpreti ha schierato una squadra di affiatati cantanti-attori, capaci di restituire i frastagliamenti di personaggi che la vocalità di Salieri stilizza, ma non schematizza. Emerge il protagonista Giulio Mastrototaro, voce di baritono lirico senza contaminazioni bassobaritonali, forse più fresca che robusta (qualche forzatura qui e là trapelava), comunque encomiabile per rapidità nella scansione, scioltezza dei recitativi, istinto comico tendente al surreale piuttosto che al caricato. Gilda Fiume, nei panni (e travestimenti) della comare Ford, si conferma la vocalista provetta che sappiamo – le poche sollecitazioni belcantistiche attengono al suo personaggio – e si rivela pure saporosa commediante. Mentre Marco Ciaponi sciorina il repertorio del marito geloso con una tenorilità “di grazia” ma non fragile, che lo rende convincente nello stile agitato non meno che in quello patetico.

Anche le rispettive “spalle” funzionano più o meno bene: Romano Dal Zovo caratterizza con sagacia l'archetipo del servo stufo del padrone; Laura Verrecchia è una comare Slender in subordine rispetto alla comare Ford perché così la vogliono musica e libretto, ma non certo per limiti vocali; Michele Patti (il marito conciliante che cerca di far scendere a più miti consigli l'amico geloso) sa essere morbido e trasformistico come il suo ruolo richiede, sebbene mostri qualche incertezza nella singolare aria “con eco” composta da Salieri per dar spessore al personaggio. Mentre Eleonora Bellocci è una servetta piccante e squillante, che impreziosisce soprattutto i concertati.

Paolo Patrizi

23/1/2025

Le foto del servizio sono di Ennevi.