RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Vienna

Vero omaggio a Moniuszko

I due secoli della nascita del padre dell'opera polacca sono stati alla base di questa collaborazione fra il Teatro Wielki di Varsavia e l'An der Wien, quello che si prende più rischi nell'ambito lirico a Vienna – l'Opera statale della città, come anche i cosiddetti grandi primi teatri in tutto il mondo, hanno deciso a quanto pare di ignorare la data. Chi ci perde è il pubblico. Non si è giocato al risparmio e l'allestimento per la regia del noto Mariusz Trelinski, arbitraria come al solito – ci troviamo in un albergo della Polonia del 1970/1980, ma invece testo e musica ci dicono ben altro che gli eventi che vediamo svilupparsi davanti ai nostri occhi – se la si guarda per se stessa è coerente e interessante, e sul programma c'è una lunga intervista al regista, ma tra i miei molti difetti c'è purtroppo anche quello di non leggere per principio le spiegazioni di un regista sul suo concetto – sempre nuovo e attuale – di come va capito un titolo operistico. Perché c'è da dire che Halka è un'opera romantica a più non posso, del 1858, con un'orchestrazione sensazionale, una musica magnifica benché con chiari modelli (spicca quello di Weber), e un libretto oimè tipico dell'epoca, il cui principale problema è quello di non risultare davvero drammatico e allora è inutile la scena girevole (pare che sia tornata di moda), la presentazione come se si trattasse di un giallo che ricostruisce una morte (quella della protagonista), i movimenti coreografici alquanto rock e gli abiti da nuovi ricchi consoni all'epoca nueva. Non mi piace raccontare il soggetto di un'opera ma visto che questa non è proprio nota diciamo che si tratta di ancora una variante della giovane provinciale sedotta e abbandonata dal padrone del luogo, difesa e protetta solo dall'amico dei primi tempi – di lei innamorato – che non accetta la decisione del seduttore di sposare una della sua classe trovandosi in più incinta. Morale: è lei che si suicida alla fine. In questo contesto che un coro di accettazione degli ordini dei potenti diventi una ribellione contro i signori può essere degno di lode dal punto di vista ideologico, ma le parole esprimono esattamente il contrario, e almeno non si è fatto come altrove dove si modificano o cancellano quelle che non vanno bene per la messinscena.

La versione musicale era notevole, a cominciare del lavoro dell'orchestra dell'ORF e la direzione di Lukasz Borowicz, un grande conoscitore che sapeva trovare i toni giusti senza lasciare abbandonati gli artisti e il palcoscenico. Il coro Arnold Schönberg, di solito una formazione di prima grandezza, forse per le difficoltà della lingua non sempre era al suo abituale ottimo livello (istruito da Erwin Ortner). Il corpo di ballo ci offriva una prestazione di altissimo livello per una coreografia coerente con il concetto della messinscena.

Naturalmente dominava il palcoscenico Piotr Beczala: il grande tenore, all'apice della forma, tornava così a cantare un ruolo in madrelingua e sicuramente la sua presenza era decisiva per portare a termine l'impresa. È vero che il suo Janek faceva – non sempre – da cameriere dell'albergo e l'artista da bravo professionista riusciva a convincere. Le due arie venivano accolte con grandi applausi: la prima è stata salutata con una vera ovazione, ma più difficile e lunga la seconda, molto più sfumata e sottile della prima, ma ogni intervento, ogni frase (davvero cesellata) e il suo canto (perché l'avranno messo il più indietro possibile?) nell'unico grande e riuscitissimo pezzo d'insieme erano fonte di continuo gaudio e ammirazione. Corinne Winters interpretava in modo eccezionale la protagonista e vocalmente era molto in gamba, particolarmente nell'ultimo atto, malgrado un acuto parecchio metallico. Tomasz Konieczny ha una voce enorme e oscura, quasi da basso, ma per questo repertorio l'emissione irregolare, il cambio di colore nei registri e un acuto il più delle volte confinante nel grido non sono esattamente l'ideale. Certo che anch'esso è notevole come attore. Il resto della compagnia non viene molto richiesta ma per voce spiccava il basso Alexey Tikhomirov nei panni del padre della sposa, uno dei personaggi che restano sfortunatamente a metà strada, come la stessa figlia, il mezzosoprano Natalia Kawalek, più brava come interprete che come cantante. Bene il 'maggiordomo' Dziemba di Lukasz Jakobski, che probabilmente era un ruolo da sviluppare di più anch'esso.

Questo titolo è diventato un must a Vienna, e quindi non stupiva la richiesta di biglietti alla porta del teatro prima dello spettacolo, che ha il tutto esaurito per tutte le recite. Il successo è stato grande ma era evidente che il pubblico non conosceva per niente l'opera e l'entusiasmo arrivava, e non sempre, un po' in ritardo.

Jorge Binaghi

20/12/2019
La foto del servizio è di Monika Rittershaus.