Rataplan, rataplan, rataplan!
Un rutilante Donizetti al Bellini di Catania
La musica del melodramma giocoso in due atti La fille du régiment, per il libretto di Jean-François Bayard e Jules-Henri Vernoy de Saint-Georges, venne concepita e composta da Gaetano Donizetti per l'Opéra-Comique di Parigi, dove andò in scena per la prima volta, diretta dallo stesso autore, l'11 febbraio del 1840 riscuotendo un enorme successo di pubblico. Il successo fu così grande che ne venne approntata una seconda versione ritmica in lingua italiana realizzata da Callisto Bassi e rappresentata il 3 ottobre dello stesso anno al teatro La Scala di Milano. La popolarità del lavoro (che perdura ancora ai nostri giorni) non sciamò neanche nella seconda metà dell'800, se di essa vennero approntate, sempre e solo all'Opéra-Comique, fra il suo debutto e la fine del secolo, la bellezza di oltre 900 rappresentazioni. L'edizione della versione originale francese presentata al Teatro Bellini di Catania nell'allestimento realizzato dal Teatro Massimo di Palermo ha inteso riprendere la produzione creata dal compianto Franco Zeffirelli per lo stesso teatro siciliano nel 1959. Marco Gandini ha voluto riproporne le scene, mentre i costumi sono stati ricreati da Anna Biagiotti, in una mistione assolutamente brillante e funzionale per ottenere degli effetti di prestanza cinetica e imponenza coloristica che, prendendo forza e vigore dalla musica, riuscivano a ricreare un'atmosfera gioconda che tracimava quasi nel vaudeville. La regia di Gandini è pertanto riuscita di fatto a stabilire un pieno accordo fra golfo mistico e palcoscenico lasciando ampio spazio all'espandersi della musica, che diventava il tessuto connettivo che andava a saldarsi in modo perfetto con le parole, i gesti e l'azione drammaturgica, dando vita ad uno spettacolo dal quale emanavano effluvi di gioia sia per gli occhi che per le orecchie. Le luci curate da Antonio Alario hanno ben ridefinito e delineato personaggi e spazi.
Il tenore John Osborn (Tonio) ha esibito da subito eleganza, garbo, signorilità e una gestualità ampia e fluida con la quale riusciva a sottolineare i trasporti melodici del canto che si esternava in una padronanza tecnica davvero eccellente dove i filati, le mezze voci e la nitidezza e rifinitura della linea melodica venivano celebrati in modo esaltante. Perfetta la sua esecuzione dell'aria “Ah! Mes amis, quel jour de fête”, seguita dalla mirabolante cabaletta “Pour mon âme, quel destin!”, dove l'interprete deve affrontare ben nove do di petto. Osborne ha dato vita ad un'esecuzione talmente rara ed esemplare che il pubblico ha richiesto, con una vera e propria ovazione, un bis a scena aperta che il generoso artista ha concesso senza farsi pregare troppo.
Il soprano Jessica Nuccio (Marie) ha trillato, cinguettato e gorgheggiato con trombe e pifferi, ascendendo e discendendo con eleganza e disinvoltura su tutte le acrobazie e i volteggi messi su pentagramma dal grande bergamasco, riuscendo poi anche a dare incisiva pregnanza e pathos alla vena malinconica e struggente con un'esecuzione assolutamente toccante delle due arie “Il faut partir” del primo atto e “Par le rang et par l'opulence” del secondo.
Luca Galli è stato un brillante Sulpice, spigliato e scanzonato di movenze e di voce. Si è distinto per la sua abilità nelle espansioni liriche e insinuanti tipiche del baritono lirico che privilegia il cantare lieve, morbido ma nello stesso tempo denso e pieno di espressività. Madelyn Renée, nella parte della Marchesa di Berkenfield, già nella cavatina” Pour une femme de mon nom” manifestava le sue doti vocali dove linearità, semplicità e soprattutto chiarezza di dizione riuscivano a far emergere la simpatia del personaggio in tutta la sua viva umanità. Buona la prestazione di Francesco Palmieri nel ruolo di Hortensíus e quella di Ernesto Tomasini, che si è esibito en travesti nel ruolo della Duchessa di Krakenthorp, personaggio al quale è stata affidata l'esecuzione di una famosa canzone napoletana composta dallo stesso Donizetti, cioè “Me voglio fa' 'na casa”, inserto rivelatosi gaio e spensierato all'interno dell'opera.
L'orchestra del nostro Teatro, diretta con composto equilibrio e agile disinvoltura da Giuliano Carella, ha eseguito l'intera partitura in modo accurato e con la messa in campo di variazioni dinamiche ed agogiche davvero ampie e variegate, che riuscivano ad esprimere affetti distanti e talvolta contrastanti, trascorrendo con facilità dalla gioia alla malinconia, dalla festosa allegrezza alla cupa tristezza. Si sono anche distinti in modo particolare le sezioni dei fiati (sia ottoni che legni) e delle percussioni, specie nelle marce e nei ritmi di carattere militaresco. Vanno anche sottolineati gli interventi solistici come la prolessi e i ricami del corno inglese nel brano “Il faut partir” e gli arabeschi del primo violoncello nel brano “Par le rang et par l'opulence”. Significativi anche gli interventi del primo violino e di tutti gli archi, in particolar modo nelle sezioni più accorate e sentimentali dell'opera.
Il coro del Bellini, addestrato con cura dal maestro Luigi Petrozziello, ha punteggiato l'azione in modo garbato e discreto senza mai prevaricare su orchestra e soliti. Calorosi e prolungati gli applausi del folto pubblico intervenuto alla serata. Repliche fino al 28 ottobre.
Giovanni Pasqualino
21/10/2023
Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando.
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