La regina torna a Palermo
Il fatto che Gioacchino Rossini sia stato l'autore di quel Barbiere di Siviglia, modello insuperato di opera buffa o melodramma giocoso e di altre quattordici partiture dello stesso genere, ha consegnato alla storia la tradizione univoca di un compositore dall'animo gaudente, giocoso, edonista e talvolta anche in po' cinico, più incline alle facezie, ai lazzi a agli scherzi che a una sobria, regolata ed equilibrata compostezza. In realtà il pesarese ci ha anche lasciato ben ventidue opere serie, attestanti in modo incontrovertibile una sua antitetica tendenza (certo meno manifesta e più riservata) alla tristezza, alla malinconia, allo spleen, che cercò, forse per eccessivo pudore, sempre di occultare sotto la maschera della bonomia, del brio e dell'umorismo. Senza dover scomodare Sigmund Freud e la psicoanalisi, si può quindi spiegare facilmente nella vita del musicista l'alternarsi della sua creatività fra opere buffe e opere serie, così come sovente si alternano nella vita di ogni essere umano stati di gioia e stati di tristezza, esultanze e depressioni.
L'Elisabetta, regina d'Inghilterra, dramma per musica in due atti, scritto dal compositore su libretto di Giovanni Schmidt nel 1815 e rappresentato per la prima volta al San Carlo di Napoli il 4 ottobre dello stesso anno, sarà l'opera che segnerà l'inizio della produzione seria di Rossini, produzione che verrà espressa attraverso splendide partiture come Otello, Mosè in Egitto, La donna del lago, Semiramide, per trovare il suo grande epilogo in quel capolavoro che fu il Guillaume Tell. Va anche ricordato che il compositore mise in atto spesso la prassi della parodia, o come si direbbe oggi dell'autoimprestito, cioè la pratica di adattare brani di opere precedenti ai nuovi melodrammi. Nel caso dell'Elisabetta essi si rivelano sia con la sinfonia d'introduzione (Ouverture), sia con la cabaletta “Questo cor ben lo comprende!” entrambe provenienti da Aureliano in Palmira ma che verranno trasferiti a loro volta anche ne Il barbiere di Siviglia.
L'edizione dell'Elisabetta, regina d'Inghilterra andata in scena a Palermo dal 22 al 29 ottobre (chi scrive ha assistito alla recita del 27), realizzata dal Rossini Opera Festival in collaborazione con il Teatro Massimo di Palermo, è riuscita a cogliere tutti i pregi e le bellezze di una partitura nella quale il maestro marchigiano attraverso una splendida orchestrazione riesce a creare momenti di grande tensione drammatica che poi stemperano in un luminoso e sfolgorante finale.
Insomma lo potremmo definire un felice ritorno del dramma musicale rossiniano nella città panormita dopo più di mezzo secolo, cioè dal lontano dicembre 1971, quando sullo stesso palcoscenico venne realizzata un'altra pregevole edizione che vide la direzione orchestrale di Gianandrea Gavazzeni, la regia di Mauro Bolognini e un'interprete d'eccezione come il soprano turco Leyla Gencer.
La regia di David Livermore si è rivelata assolutamente funzionale all'azione scenica senza mai impacciarla, anzi riuscendo a creare una compatta ma nello stesso tempo fluente sinergia fra palcoscenico e golfo mistico. Le scene di Giò Forma ci sono apparse ricche di visionaria ed onirica fantasia, in quanto sature di splendide dissolvenze di forme e colori che si scomponevano e ricomponevano, digradavano e sfumavano dal nero al grigio al rosso al bianco riuscendo a creare un'atmosfera di forte emotività che riusciva a donare all'uditorio delle splendide sinestesie fra suoni, colori e forme. I costumi di Gianluca Falaschi e le luci di Nicolas Bovey hanno posto all'intero spettacolo un suggello di grazia ed eleganza di elevata caratura.
Il soprano Nino Machaidze nell'interpretazione della protagonista eponima ha sottolineato con grande cura i tratti sia vocali che scenici del regale personaggio. Attenta a ogni presa di voce, rifinita nel fraseggio, delicata nelle mezze voci, ardita e fluida nelle agilità, la brava artista georgiana si è dimostrata altrettanto versatile nella gestualità corporea. Altrettanto valida ci è parsa la performance di Salome Jicia (Matilde) che ha esibito una voce duttile, vellutata, fluente e allo stesso tempo incisiva con una notevole caratura nella zona media. Il tenore Enea Scala (Leicester) non si è risparmiato nel fornire al personaggio tutti i tratti che lo contraddistinguono sia dal punto di vista vocale che scenico, ottima in particolare l'esecuzione dell'aria “Della cieca fortuna”. I tratti di lealtà e probità del suddito fedele si sono trasfusi in una sonorità estesa, ampia, nobile, scultorea che ne rifiniva con cura ogni frase melodica. Ruzil Gatin (Norfolc) ci è parso un tenore alquanto corretto ed elegante che tuttavia dovrebbe prestare maggior cura riguardo la copertura degli acuti estremi tendenti qualche volta a sbiancare. Buone le prestazione offerte dal mezzosoprano Rosa Bove nella parte en travesti di Enrico e Francesco Lucii nella parte di Guglielmo. Il coro del teatro istruito dal maestro Salvatore Punturo ha assolto il suo compito con discrezione e professionalità riuscendo sempre a contemperare le sonorità in uno con l'orchestra condotta in modo equilibrato e impeccabile dal versatile Antonio Fogliani. Calorosi e prolungati applausi alla fine dello spettacolo dispensati da un foltissimo pubblico presente in sala e nei palchi.
Giovanni Pasqualino
28/10/2024
|