L'Orchestra Haydn esegue il Requiem di Verdi
Brillante conclusione della Stagione Sinfonica 2015-2016 dell'Orchestra Haydn di Bolzano e Trento con l'esecuzione della Messa da Requiem di Giuseppe Verdi diretta dal direttore principale Arvo Volmer. Verdi compose oltre al repertorio operistico pochissima musica, tra questa una posizione peculiare la occupa la Messa da Requiem. Per essere precisi il catalogo verdiano comprende anche altra musica sacra, e precisamente: I Quattro pezzi sacri, Pater Noster, Ave Maria e Pietà Signor, composizioni molto ridotte nella durata che solitamente sono eseguite nei programmi sacri o concertistici. La prima idea di comporre un Requiem fu nel 1868, quando Verdi propose al suo editore Ricordi di allestire un pezzo sacro a più mani per commemorare Gioachino Rossini nell'anniversario della morte (1869). Questo progetto, che coinvolgeva i maggiori musicisti del tempo (ognuno dei quali avrebbe composto una sezione), non fu mai eseguito per la mancanza di fondi economici. Quando nel 1873 morì Alessandro Manzoni, che Verdi conosceva e ammirava, il compositore decise di estrarre dal cassetto la partitura che aveva composto in precedenza (solo la parte finale “Libera me domine”) e scrivere interamente di suo pugno tutta la partitura. La prima esecuzione, diretta dall'autore, fu a Milano nella Chiesa di San Marco il 22 maggio 1874 e il successo fu trionfale, e da allora iniziò una continua esecuzione, tale da considerare la Messa uno degli spartiti più eseguiti nel suo genere.
Molti critici musicali si sono sempre trovati discordanti se considerare la composizione una pagina sacra o profana. In effetti, pur basandosi su un testo tratto dalla liturgia Cattolica Romana, la volontà di Verdi era di esprimere il significato delle parole, trasformandole dall'apparente celebrazione per i morti alle situazioni dei vivi, trasferendo nel Requiem la sua arte drammatica non ravvisata nella gioiosa vita ultraterrena.
L'esecuzione che si è tenuta all'Auditorium Santa Chiara di Trento ha rivelato molte piacevoli sorprese. Innanzitutto la splendida forma raggiunta dall'Orchestra Haydn in questi ultimi anni, la quale può attestarsi tra le più interessanti realtà del nord-Italia. Suono molto nitido, preciso, cui va aggiunto l'ottimo amalgama tra le sezioni. Tutte queste prerogative hanno contribuito a una resa eccellente della Messa da Requiem ma parallela alla bacchetta di Arvo Volmer. Il direttore ha concertato brillantemente il difficile spartito, seguendo alla lettera le indicazioni dell'autore. Una lettura che potremmo definire teatrale per i grandi effetti e che ha colpito l'ascoltatore, sintetizzando un affresco di situazioni di fronte alla morte, una descrizione narrativa di forte impatto. Si rileva un eccellente Dies Irae, impetuoso e drammatico, la precisione polifonica del Sanctus con l'ausilio di una sezione di ottoni da manuale, e l'elettrizzante finale del Libera me domine in un pianissimo estatico ma anche d'interrogativo sull'aldilà, che ha dimostrato la perfetta conoscenza e prassi esecutiva del brano. Volmer non dimentica, anzi sorregge a dovere i quattro solisti in una lettura intimistica di grande effetto, dimostrando la somma capacità di accompagnatore-concertatore. Una presenza molto efficace che speriamo prosegua il suo lavoro con l'orchestra Haydn per i prossimi anni.
Molto valido anche il quartetto di solisti: Marina Shaguch, Marianna Pizzolato, Aquiles Machado e Nicola Ulivieri. Il soprano è dotato di voce molto bella, pastosa e armoniosa, ha svolto il suo compito con grande professionalità, pur dimostrando un non perfetto equilibrio tra la zona centrale e quella grave. Tuttavia, perfetta nel celestiale attacco del suo assolo Libera me Domine. Bravissimo il mezzosoprano, il quale ha dimostrato come la buona formazione rossiniana sia applicabile anche a Verdi, di cui credo sia l'unico spartito finora eseguito. Particolarmente affascinante l'attacco del quartetto Lacrimosa, disperato e poetico. Il tenore ha dimostrato una buona pratica musicale, eseguendo il suo compito con buona professionalità, anche se mi sarei aspettato più intimismo e partecipazione. Ammirevole il basso, che forse è bass-baritone, e in tale veste non ha voluto snaturare la sua vocalità, ma ha reso una prestazione interessante e musicalissima sviluppando accenti, colori e fraseggio davvero ammirevoli.
Il Coro Sinfonico di Milano “G. Verdi”, diretto da Erina Gambarini, ha offerto una prova superlativa e di grande bravura, preciso e ben assortito nelle sezioni, si è messo in particolare luce durante l'esecuzione della fuga a due cori. Successo trionfale al termine con numerose chiamate ben meritate.
Lukas Franceschini
17/6/2016
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