Orfeo di Claudio Monteverdi
al Teatro Olimpico di Vicenza
La quinta edizione di “Vicenza in Lirica 2017-Dialoghi barocchi” offre come spettacolo di punta la rappresentazione dell'opera Orfeo di Claudio Monteverdi in un luogo affascinante come il Teatro Olimpico. Orfeo, favola in musica in un prologo e cinque atti, su libretto di Alessandro Striggio, ebbe la sua prima rappresentazione il 24 febbraio 1607 nella sala per l'Accademia degli Invaghiti del Palazzo Ducale di Mantova. Opera, o meglio “favola pastorale”, è da annoverare al tardo Rinascimento e all'inizio dell'era barocca musicale, ed è considerata il primo vero capolavoro della storia del melodramma, poiché contiene tutte le risorse fino ad allora concepite nell'arte musicale con una forma notevolmente avanzata della polifonia. Dopo la prima mantovana, il lavoro fu eseguito nuovamente anche in altre città italiane ma con la morte del compositore (1643) cadde nell'oblio. Si ebbero alcune riprese a fine Ottocento, prevalentemente esecuzioni in forma di concerto, come quella del 1904 al Conservatorio di Parigi diretto da Vicent d'Indy nella versione francese. Fu al Teatro La Fenice di Venezia nel 1910 che si registra la prima forma scenica diretta da Guido Carlo Visconti di Modrone, e da quel momento inizia una lenta ma continua riscoperta in tutti i teatri del mondo. Dalla seconda metà del XX secolo, non solo Orfeo ma tutta la produzione di Monteverdi, ebbe una felice riproposta basandosi su studi filologici e ripristinando esecuzioni con strumenti musicali dell'epoca, culminati con le proposte di Nikolaus Harnoncourt tra gli anni '60 e '70 del secolo scorso. Oggi fortunatamente è opera quasi di repertorio e sovente eseguita.
La messa di scena di un'opera al Teatro Olimpico è sempre impresa molto complicata per i vincoli che il sito impone. La narrazione scenografica è stata affidata a un video mapping, realizzato con grande efficacia da Mauro Zocchetta (per Zebra Mapping), che proietta sulla facciata interna sequenze di aerei che si rifanno al bombardamento che investì Vicenza nel 1944. Il senso di questo dovrebbe essere la rinascita della città. Lavoro grandioso ma indecifrabile allo stesso tempo, poiché è piuttosto astruso il parallelismo con la drammaturgia dell'opera. Molto migliore, sempre con tecnica mirabile, quando si colorano in alternanza alcune parti interne del teatro, qui con un gioco di colori rilevante si sviluppa un senso narrativo pertinente. In tale ambiente s'inserisce la regia di Andrea Castello, ideatore del Festival, che ambienta l'opera nell'immediato dopoguerra aggiungendo una figura di mimo-ballerino, Paolo Pincastelli, inutile (però bravissimo) che dovrebbe essere Orfeo, il quale al termine della vicenda prende atto della propria omosessualità. Un aspetto troppo psicologico che può ravvisarsi nella parte letteraria del testo ma non certo nella trama dell'opera monteverdiana. Tuttavia la drammaturgia realizzata dal regista resta abbozzata, reggendosi soprattutto sulla staticità dei personaggi e qualche scelta poco chiara del filo conduttore, mancando in sostanza proprio sul racconto ove avrebbe dovuto scegliere una strada più coraggiosa. Il tutto era anche abbastanza godibile ma ci saremmo aspettati un estro più focalizzato, il quale probabilmente arriverà con l'esperienza. Molto belli i costumi femminili, molto meno quelli maschili, realizzati da Roberta Sattin in chiaro stile anni '40.
Il versante musicale ha fornito grande interesse sia con la direzione di Francesco Erle sia con la compagnia di canto preparata da Gemma Bertagnolli. Il direttore Erle sul podio della Schola San Rocco e dei Fiati di Harmonia Parnassia , tutti con strementi d'epoca, trova un terreno a lui particolarmente congeniale in un autore come Monteverdi. Egli concerta in tempi molto energici e con uno stile notevolmente appropriato, l'orchestra ha un mordente di suo molto apprezzabile, anche tagliente e laconico. Forse solo i fiati, in qualche occasione, non sono ben collimati, ma nel complesso abbiamo avuto un apporto musicale di buon livello non facilmente riscontrabile in altre occasioni teatrali. Molto bravo il Coro della Schola San Rocco che offre una performance quasi da manuale per stile, compattezza e aderenza musicale interpretativa filologica. Doveroso segnalare Alberto Maron, clavicembalo, e Roberto Loreggian, organo e regale, per la grande professionalità e stile nell'esecuzione.
Il cast, composto prevalentemente da giovani, qualcuno al suo debutto, ha mostrato un entusiasmo molto volenteroso con qualche piacevole sorpresa. Marco Saccardin, protagonista, affronta una prova vocale molto impervia per la sua giovane esperienza, tuttavia è capace di un misurato equilibrio nel recitar cantando e negli ariosi, che sarebbero stati più apprezzati se accompagnati da accenti più incisivi. La prova è sostanzialmente buona e le doti del giovane cantante sono ragguardevoli, manca solo di maggiore esperienza poiché nel finale è apparso leggermente affaticato ma è un cantante da tenere in considerazione.
Giulia Bolcato, che interpretava Musica, Euridice ed Eco, offre una buona prova attraverso un fraseggio variegato e uno stile barocco preciso. Valeria Girardello è una messaggera brillante e stilizzata, Arianna Lanci una Proserpina molto musicale e precisa, Anna Bessi trova una personale interpretazione barocca di ottimo stile con grandi risorse vocali. Meno efficace il Caronte di Mateusz Drozda, il quale vanta una voce di grandi risorse ma necessita di approfondire studio e soprattutto impostazione. I quattro pastori, Fulvio Fonzi (che interpretava anche Plutone), Enrico Busia (Apollo), Enrico Torre e Antonio Orsini , si mettono in luce uno stile appropriato e un canto ragguardevole, cui bisogna aggiungere la preziosa prova di Martina Loi, delicata Ninfa.
Successo trionfale al termine, con numerose chiamate e ovazioni per tutta la compagnia, da parte di un pubblico entusiasta che gremiva in ogni settore il teatro vicentino.
Lukas Franceschini
18/9/2017