Le Comte Ory di Gioachino Rossini
alla Scala di Milano
Doveva essere l'opera per e di Juan Diego Florez, invece le Le Comte Ory di Gioachino Rossini alla Scala è andata in scena con grande delusione.Le Comte Ory è la penultimaopera di Rossini, tratta dalla vaudeville omonima (1816) di Eugène Scribe eCharles-Gaspard Delestre-Poirson, i quali furono successivamente anche gli autori del libretto della partitura rossiniana. La prima rappresentazione ebbe luogo il 20 agosto 1828 all'Opéra di Parigi. Nel suo soggiorno parigino Rossini presentò solo rifacimenti di suoi lavori italiani, escludendo la cantata Il viaggio a Reims, la quale doveva essere un lavoro unico ed irripetibile perché composto per i festeggiamenti dell'incoronazione di Carlo X. Mancava pertanto un lavoro nuovo e in lingua francese, atto alla consacrazione totale, i parigini quasi veneravano il compositore. L'occasione fu offerta da Scribe che propose a Rossini di utilizzare la vaudeville in oggetto, elaborandola e ampliandola, il compositore aveva già intenzione di riciclare alcuni pezzi del Viaggio che riteneva di estremo valore. Tolti alcuni consueti diverbi tra musicista e librettista, il prodotto finale è un libretto di piacevole lettura, ben costruito intorno ad una serie di colpi di scena in grado di tener desta l'attenzione dello spettatore e di offrire al musicista preziosi stimoli e suggerimenti, compresa quell'ironia che lo pervade e l'ambiguità evocata dalle situazioni e dalle parole.
In questa nuova veste rispetto all'originale, Le Comte Ory, si presenta come una spassosa commedia brillante, non priva di sottintesi morali e di costume, basata su un intreccio ricco di situazioni farsesche, colpi di scena, travestimenti, e avvolto in una sottile trama di ambiguità e mistero. La parte del protagonista fu affidata ad Adolphe Nourrit, celebre e sommo cantante, pertanto Rossini pone una cura particolare nell'orchestrazione, una delle più preziose che ci abbia lasciato. La prima ebbe un esito trionfale sia di pubblico sia di critica che fu unanime nel lodare la perfezione formale della partitura, compreso Hector Berlioz il quale giudicò il terzetto del secondo atto il capolavoro di Rossini. L'opera cadde in seguito nell'oblio, fu recuperata negli anni '50 del secolo scorso, ed è doveroso ricordare che ciò avvenne grazie all'italiano Vittorio Gui, il quale ne fissò anche la prima incisione, la riscoperta e l'inserimento attuale nel repertorio rossiniano.
Delude il nuovo spettacolo di Laurent Pelly (coprodotto con Lione), il quale ambienta la storia nell'odierna provincia francese, scivolando su scarsa fantasia e cattivo gusto teatrale che fino ad ora non avevo riscontrato. Manca totalmente l'aspetto onirico, parafrasato secondo il regista (che firma anche una banale scena e dei comunissimi costumi) in una sala da circolo ricreativo nel primo atto ove compare Ory conciato come un rasta-spinellone, e in una scena scorrevole nel secondo, ove si ravvedono gli interni anche eleganti di una casa borghese. Il ritmo narrativo sarebbe anche pertinente, ma imbarazzanti situazioni (Florez in mutande) e becere trovate ( la Kurzak che si siede sul water) lasciano lo spazio che trovano o forse denotano scarsa inventiva, che sfocia persino nel rutto emesso da un corista alla cena del secondo atto. E pensare che di allestimenti più belli ed eleganti ce n'erano…
Sul podio Donato Renzetti trova una lettura piuttosto spenta e poco colorita che poco s'addice allo spumeggiante Ory. Gli riconosciamo sapiente mestiere di tenere in salda mano la compagnia e il rapporto orchestra e palcoscenico ma ciò è poco rispetto a quello che avrebbe dovuto e potuto.
Su Juan Diego Florez non si dovrebbe profferire parola perché fattosi annunciare indisposto all'inizio della recita. Tuttavia, tolti gli acuti dismessi e nessun passo funambolico, si dovrebbe registrare che il tenore peruviano dopo i passi falsi, Rigoletto e Tell, trova anche una cattiva forma ad affrontare il repertorio a lui più congeniale. Speriamo sia solo una crisi passeggera.
Aleksandra Kurzaz non ha né lo stile né la tecnica per affrontare Rossini, soprattutto quello più virtuoso e allo stesso tempo patetico. Acuti forzati, colorature pasticciate, un centro anche corposo ma non ben appoggiato. Se non fosse avvenente, sarebbe molto ridimensionata e poco sorretta da majors discografiche. Maria José Lo Monaco è professionista ma con voce corta e gli acuti sommariamente gridati. Il Rambald di Stéphane Degout era l'unico che senza brillare offriva una prova dignitosa, ma è povero di colori e fraseggio. Roberto Tagliavini avrebbe anche voce interessante, ma la difficile cabaletta lo mette molto a disagio, probabilmente il canto d'agilità non è il suo forte. Precise e convincenti Mariana De Liso e Rosanna Savoia.
Lukas Franceschini
30/7/2014
Le foto del servizio sono di Brescia e Amisano.
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