Barcellona
Otello da dimenticare
È verissimo che i due tenori (il secondo non si sa ancora perchè) hanno disdetto e anche uno dei soprani, ma non proprio all'ultimo minuto, ma quando non si hanno delle garanzie minime per presentare in modo almeno corretto un titolo difficile e amato quale l'Otello verdiano, forse sarebbe il caso di cambiare opera, anche se si tratta dell'anno Shakespeare (poveretto anch'esso con questo tipo di omaggi). Si passa facilmente dalla noia più mortale alla rabbia quando si vede e sente questo sopruso, perchè non solo le persone fisiche vengono strapazzate e violentate, ma anche i beni culturali.
La messinscena arrivata da Berlino, per la regia di Andreas Kriegenburg, qui ripresa da Claudia Gotta, è una assoluta sciocchezza che cerca di spacciarsi per ‘compromessa' dal punto di vista sociale e magari anche politico: ma sostituire Cipro con un baraccone dove languiscono immigranti rifugiati non serve a far riflettere su questo grave problema – se mai a calmare qualche cattiva coscienza – ma finisce col banalizzarlo e servirsene in modo frivolo. Peggio ancora, fa diventare un'opera che è tra le più vitali di tutto il repertorio un qualcosa d'inerte, con un protagonista privo di carattere, amante della bottiglia e perfino svogliato nelle sue esplosioni estreme.
Certo che José Cura faceva di tutto per rinforzare, se bisogno ce n'era, il risultato negativo della serata: il suo canto era la negazione stessa della partitura, e la sua interpretazione non migliorava l'impressione generale. Marco Vratogna con molta voce di scarsa qualità cantava ma non sempre: a momenti ruggiva, e se no, secondando il tenore, parlava con suoni stimbrati, in fretta e in furia e non sempre intonato, le sue importanti frasi e commenti ‘ a parte' (il terzetto dell'atto terzo diventava quasi comico) e sembrava considerare Iago un rozzo cattivo da cinema muto. È stato anch'egli bersaglio di proteste, molto meno di quelle indirizzate al tenore, ma sonore. Ermonela Jaho è cantante discreta, di poco volume, con un grave e un centro quasi inesistenti e bruttissimi, un acuto un po' metallico e suoni filati buoni ma non senza qualche tremolo. I comprimari se la cavavano più o meno ma non si capisce perchè si debbano scritturare cantanti dell'Est per queste parti visto che nessuno era eccezionale: la migliore in campo, Olesya Petrova nei panni di Emilia; il peggiore, Roman Ialcic come Lodovico; fra i due il Cassio di Alexey Dolgov. Ivo Mischev cantava le due frasi dell'araldo in modo discreto. Senza rilievo il Montano di Damián del Castillo. Il migliore di tutti (pensa un po') il Rodrigo di Vicenç Esteve Madrid.
Il coro faceva buona impressione, ma sarebbe stato molto più felice con un'altra regìa, e corretto il coro di voci bianche Amics de la Unió. L'orchestra suonava abbastanza bene e poco più poteva fare la bacchetta di Philippe Auguin, ma non credo che si debba essere rigorosi con lui, se si considera quanto si vedeva e sentiva sul palcoscenico.
Jorge Binaghi
27/1/2016
La foto del servizio è di Antonio Bofill.
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