Pagliacci
al Teatro Filarmonico di Verona
L'opera breve Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, un prologo e due atti, per settanta minuti complessivi, è il secondo titolo proposto dalla Fondazione Arena per la Stagione Lirica al Teatro Filarmonico. La stagione è iniziata ancora a dicembre con Turandot, dopo due mesi di sospensione e il nuovo sovrintendente. I problemi economici non sono risolti ma si cerca una via che sarà lunga e faticosa, il tutto nell'indifferenza totale della città e della società civile considerando che il corpo di ballo è stato definitivamente liquidato e abolito. Fa più notizia il progetto di copertura dell'anfiteatro sponsorizzato per centoventimila euro da una nota azienda veronese internazionale, senza malafede il finanziamento offre più visibilità commerciale all'azienda che un'utilità vera e la possibile realizzazione. In tale momento di ristrettezza economica Pagliacci “fa serata”, come si usa dire, senza abbinamento ad altra opera breve. Se non era possibile programmare un dittico, si sarebbe potuto ad esempio eseguire brani sinfonici nella prima parte o altre soluzioni, poiché i biglietti non erano a prezzo ridotto. Lo spettacolo era quello già presentato a Verona qualche anno fa e firmato da Franco Zeffirelli, regia e scene, il quale soprattutto nella sua ultima parte della carriera ha usato un eccesso di comparse figuranti in tutte le sue creazioni. L'ambientazione è ideale: una periferia degradata di una qualsiasi città di provincia, ma si scontra con il senso della vicenda ambientata in un paesino. Abbiamo pertanto uno schizofrenico inserimento di personaggi che infastidiscono non poco: popolani, bambini, ragazzi, prostitute, travestiti, imbianchini, forze dell'ordine, giocolieri, equilibristi e chi ne ha più ne metta. Decisamente troppo, tanto da creare un senso di smarrimento nello spettatore. L'arrivo della compagnia di circensi-protagonisti assomiglia all'arrivo di un Circo Orfei al massimo splendore, quando invece sarebbero quattro saltimbanchi che girovagano per piazze di terza categoria. Tutto questo toglie in maniera decisiva l'aspetto drammatico dell'opera, che vede il maturo Canio, uomo in fondo buono ma accecato dalla gelosia, che si trasforma in assassino. La ripresa curata da Stefano Trespidi pare abbia calcato ancor più la mano su questi eccessi, e i costumi di Raimonda Caetani contribuiscono non poco a un clima eccessivo e fuori luogo, che nel complesso disturba e distoglie l'attenzione non solo dalla musica. Poche idee drammaturgiche, tanta confusione, uno spettacolo che può benissimo andare in soffitta.
Il direttore Valerio Galli, che ascoltavo per la prima volta, è stata un'interessante e piacevole conoscenza. I tempi sono tenuti su un ottimo equilibrio di sonorità, molto variegato nelle sfumature e nei colori dei quali sa cogliere il netto significato nei diversi momenti dell'opera. Buon concertatore nel tenere assieme la massa corale, solisti e orchestra, la quale risponde in maniera molto puntuale e dimostrando la professionalità che conosciamo. Una bacchetta che mi auguro di risentire presto anche in altri repertori. Il coro dell'Arena di Verona, istruito da Vito Lombardi, si è ritagliato un particolare successo meritato per precisione e sicurezza, un plauso va anche al coro di Voci bianche A.Li.Ve diretto da Paolo Facincani per l'ottima professionalità e verve teatrale dimostrata.
Molto soddisfacente anche il cast. Rubens Pelizzari ha messo in luce una solida preparazione e abbiamo avuto un Canio molto generoso e interprete, magari con qualche accesa teatralità, la linea vocale è sufficientemente rifinita e supera tutti gli ostacoli con buona musicalità. Ottima la Nedda di Valeria Sepe, un soprano che oltre la bellissima figura teatrale sfoggia una voce lirica molto rifinita, preziosa nell'accento e nel fraseggio e con un registro acuto rilevante.
Elia Fabbian, Tonio, offre una prestazione molto ben realizzata nelle intenzioni e nell'interpretazione, talvolta tenta di esagerare e potrebbe farne a meno, perché il suo fraseggio è eloquente, anche se in alcuni passi non è sempre preciso. Molto bravo Alessio Verna, Silvio l'amante di Nedda, particolarmente efficace nel canto lirico, nel duetto d'amore sfoggia sensualità attraverso una voce ben impostata e morbida, con bei colori. Bravo anche Francesco Pittari, Beppe, molto preciso nella parte e rifinito vocalmente che ha il suo momento glorioso nella celebre serenata del II atto.
Lo spettacolo è molto piaciuto al pubblico, numeroso anche all'ultima recita cui abbiamo assistito, che oltre a gradire tutta la confusione sul palcoscenico ha tributato un caloroso successo a tutta la compagnia.
Lukas Franceschini
9/2/2017
Le foto del servizio sono di Ennevi-Arena di Verona.
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