RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Aureliano in Palmira

al Rossini Opera Festival 2014

Pesaro 9 agosto 2014 (prova generale). E siamo arrivati a trentotto! Il Rossini Opera Festival propone il penultimo titolo della cronologia del compositore: Aureliano in Palmira. Si potrebbe affermare che tutte le opere di Rossini sono state rappresentate a Pesaro, ad eccezione di Eduardo e Cristina, che è ibrida tra opera vera e propria e centone, e della quale la Fondazione Rossini sta lavorando all'edizione critica.

La proposta odierna di Aureliano in Palmira ha significato di prima mondiale nell'edizione critica curata da Will Crutchfield, qualcuno potrebbe obiettare che già vi furono in passato altri allestimenti dell'opera, ma preciso che quando andò in scena a Savona nel 1981 fu eseguita con molti tagli, e la versione concertistica di Londra (poi riversata in cd da Opera Rara) non si basa su un'edizione critica. La principale difficoltà che ha incontrato il M.o Crutchifield nella stesura è stata l'assenza dello spartito autografo. Leggende metropolitane affermano che sia in possesso degli eredi di Velluti, ma è da presumere sia una bufala colossale. Oggi è accertato che lo spartito non esiste, non si è a conoscenza come sia scomparso, e perché. Si suppone che Rossini lo conservò per se stesso quando lasciò Milano nel 1814, inoltre, non si è a conoscenza se alcune copie manoscritte oggi reperibili derivino direttamente dall'autografo o da copie intermedie per recite sia milanesi sia per riprese successive con modifiche, le quali di mano ignota. Due sono i punti che quasi tutti i melomani conoscono: nell'opera vi sono molte pagine che poi confluiranno nel Barbiere , e che il personaggio di Arsace fu scritto per Giovanni Battista Velluti, unica esperienza di Rossini con un castrato, col quale litigò per gli abbellimenti barocchi che il cantore eseguiva ad libitum di recita in recita. L'opera nacque il 26 dicembre 1826 al Teatro alla Scala, e come riportano le fonti storiche, non fu un successo ma neppure un fiasco com'è frequente leggere. Dopo le vicende scaligere, l'opera ebbe negli anni successivi, fino al 1830, una discreta circolazione e la cantarono artisti del calibro di Giuditta Pasta, Domenico Donzelli, Adelaide Malanotte, Rosamunda Pisaroni e Carolina Bassi. Il Velluti, dopo i dissapori con Rossini, non cantò più l'opera né altri titoli rossiniani nel corso della sua carriera.

Aureliano in Palmira ascoltata oggi, molto più ampia di quanto in nostra conoscenza dai cd delle precedenti edizioni, presenta una successione di bei canti eroici e leggeri, che inneggiano alla gioia, di bravura, di tristezza, d'eroismo, d'amore con inimitabile spirito. Il musicologo, ma anche l'ascoltatore, odierno non può non intravedere in questo spartito un proseguimento del Tancredi, ma soprattutto “annunci” musicali ed estetici che porteranno a Semiramide, anche se molti brani furono inseriti dal compositore nel Barbiere di Siviglia, e qui hanno avuto più ampia conoscenza da parte del pubblico.

La nuova produzione pesarese era curata da Mario Martone alla regia, Sergio Tramonti scenografo e Ursula Patzak costumista. Con il senno di poi devo affermare che Martone ha mano più felice ed ispirata nel genere buffo, perché anche in quest'occasione incongruenze registiche e poca fantasia hanno caratterizzato quello che doveva essere lo spettacolo di punta del Rof 2014. La desolante scenografia costituita da siparietti a velario mobili non aiutava di certo, e la drammaturgia era scolastica e senza un vero concetto insito, ammesso che Aureliano possa essere attualizzato e creare momenti teatrali spettacolari. Si potevano evitare le capre (vere!) nella scena pastorale di Arsace, ed altri momenti rasenti al ridicolo come quando due ancelle salgono su due scale da imbianchini per vestire Zenobia irta su una biga. Non reggono neppure certe pose di citazioni pittoriche, tanto per creare una scena che di per sè non produce effetto, come mettere sul palcoscenico i maestri collaboratori ai recitativi. I costumi erano in stile, tolti alcuni accessori incongruenti.

Will Crutchfield, direttore e maestro concertatore, è un ottimo musicologo, la sua fama è nota e anche in quest'occasione di recupero di spartito ne abbiamo avuto la conferma; interessantissime, puntuali e minuziose le sue note nel programma di sala. Tuttavia tali qualità non corrispondono, o meglio non sono parallele ad un ottimo concertatore, avendo a disposizione un'orchestra, la Sinfonica Gioachino Rossini, molto limitata per qualità sonora, la quale si è prodotta in un compito non alla sua portata per mancanza di esperienza e raffinatezza. Resta poi il direttore che a mio avviso si è limitato ad una soporifera e banale direzione, senza dare nervo e teatralità alla drammaturgia teatrale, scolpendo in musica momenti d'assolo dei protagonisti che avrebbero meritato maggior cura. Il rapporto buca-palcoscenico non sempre funzionava a dovere, talune entrate erano sfasate e lo stile in generale era sedato, con l'aggiunta che molte parti avrebbero meritato variazioni canore come di prassi all'epoca ottocentesca.

Altro gravoso problema è radunare un cast all'altezza per un'operazione come quella intrapresa dal Rof, ed è palese che oggigiorno non sia periodo florido di voci, come lo furono gli anni '80 del secolo scorso.

Il protagonista, il tenore americano Michael Spyres, avrebbe anche voce interessante, estesa e sonora. Peccato che le sue ultime esibizioni, compresa l'odierna performance, ci rendono un interprete che canta sempre aperto, tende a gonfiare i suoni a scapito di un volume limitato di suo, il quale sovente nel settore acuto non è ben calibrato nell'intonazione e il cambio di colore ne risulta schiacciato. L'uso in un paio di occasioni del falsetto non merita considerazione. Siamo perplessi se tali mancanze siano dovute ad un fattore tecnico o interpretativo, certo che uno stile più accurato a nostro avviso avrebbe, o potrebbe portare ancora, a migliori risultati.

Come predetto il ruolo di Arsace fu composto per un castrato, fortunatamente oggi assolvono tali compiti voci femminili di contralti o mezzosoprani. Lena Belkina è al di sotto di tutte le prerogative per un ruolo simile. Tralasciando una voce che non brilla per smalto, erano le lacune tecniche ad emergere pesantemente: limitata nei settori gravi ed acuti, poggiava principalmente la voce su un centro non certo rifinito, e senza fiorettare la parte come avrebbe dovuto.

La migliore della serata era Jessica Pratt, che a Pesaro aveva già trionfato in Adelaide e Ciro. Lei trova in queste opere virtuosistiche un terreno molto più adatto rispetto al romanticismo puro, avendo la possibilità di sfoggiare un settore acuto rifinito ed importante. Resta sempre ai margini l'interprete che non riesce mai ad avere espressioni poliedriche nel corso dell'opera. I suoi limiti, in parte, sono sempre quelli ascoltati in altre occasioni concentrati in un volume contenuto, spesso coperto dall'orchestra, e un colore a senso unico, anche se si devono registrare molte intenzioni, nel recitativo, ben assortite. Le parti di fianco non sfiguravano, incisiva Raffaella Lupinacci, corretti Dempsey Rivera e Sergio Vitale, ingolato e grossolano il Gran Sacerdote di Dimitri Pkhaladze.

Appuntamento al 2015 con La Gazzetta, La donna del lago ed Adelaide di Borgogna.

Lukas Franceschini

16/8/2014