RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

I due volti di Sant'Agata

Da sinistra: Matteo Musumeci e Joe Schittino.

Un programma da concerto può seguire due direttive metodologiche: una, e la più banale, è quella di accostare brani eterogenei, assemblati in base alle preferenze del direttore, del solista, proponendo in tal modo solo una carrellata uditiva più o meno accattivante, più o meno in grado di entusiasmare il pubblico, e in tal caso il successo della manifestazione è affidato quasi esclusivamente alla bravura degli interpreti: la seconda via, più organica e proficua, è quella di costruire un percorso, uditivo e mentale a un tempo, che consenta una migliore conoscenza di un autore o di un periodo del suo excursus compositivo, o dell'evoluzione di un genere, sia essa diacronica o sincronica, oppure ancora la disamina di una stessa tematica, musicale o culturale in senso lato, a partire da prospettive diverse, divergenti o addirittura opposte.

Va da sé che un concerto costruito secondo quest'ultima via, oltre che richiedere una diversa, più attenta e critica disposizione da parte dello spettatore, può essere realmente compreso solo a partire dalla dialettica interna dei brani proposti, a partire dalla ri-costruzione della medesima domanda alla quale le composizioni tentano di rispondere, giusta la definizione gadameriana secondo la quale ogni opera d'arte è la risposta a una domanda o a un'esigenza generata dalla contemporaneità alla quale appartiene l'artista. Definizione che a ben vedere può essere valida anche per le cosiddette composizioni d'occasione, nate cioè da un evento che coinvolge emotivamente una città, da una ricorrenza o semplicemente dall'incarico di un committente: anche in questo caso infatti l'artista risponderà alla domanda secondo la sua personale ri-costruzione della domanda, secondo la sua interpretazione dell'evento, secondo la prospettiva, ontologica o ontica, cosmica o esistenziale, storica o contingente, che ritiene più adatta alla sua poetica, musicale o letteraria che sia. Nel caso infine di un prodotto artistico che preveda il coinvolgimento sia della musica che di un testo, la guida interpretativa potrà appuntarsi in prima battuta proprio su quest'ultimo, che di fatto caratterizza per il solo fatto di essere stato scelto la prima risposta dell'artista alla domanda proposta, risposta a partire dalla quale tutte le altre discenderanno di conseguenza.

Questo lungo preambolo è reso a nostro avviso necessario dal fatto che, quando bisogna giudicare di una musica contemporanea, le consuete categorie del bello, del gradevole, del perfetto formalmente, e quelle contrarie che da esse discendono, non sono congruenti né esaustive per comprendere un prodotto nuovo, nato in un'epoca in cui non solo la musica, ma anche la letteratura, sembrano aver esaurito sia le potenzialità formali, sia le possibilità sperimentative: ogni nuovo prodotto deve giocoforza fare i conti con una tradizione millenaria, della quale è al tempo stesso figlio, custode, rielaboratore, ma soprattutto punto di superamento.

Eliminate dunque le categorie citate, la nostra disamina del Concerto in onore di Sant'Agata, tenutosi al Bellini di Catania il 1° febbraio, tenterà per un verso di descrivere formalmente i due brani proposti, ma soprattutto di farne emergere la profonda sinergia e la proficua dialettica, elementi dai quali soltanto potrà scaturire una valutazione non soggettiva (affidata cioè a un gusto musicale ormai viziato da secoli), ma si spera il più possibile oggettiva: le due composizioni in programma, entrambe cantate nel senso tecnico del termine, prendevano le mosse da testi diametralmente diversi, sia per lo stile e la lingua (prosa latina tarda il primo, versi liberi italiani il secondo), sia per l'elaborazione musicale.

Da sinistra: Antonino Manuli, Matteo Musumeci, Josè Maria Lo Monaco, Massimiliano Costantino e Luigi Petrozziello.

La Passio Sanctae Agathae di Joe Schittino, proposta in prima esecuzione assoluta al Bellini, utilizza un testo liberamente adattato della Vita di Sant'Agata contenuto in un manoscritto della Biblioteca Capitolare di Trento, diviso in stazioni, dove il dramma della Santa e i drammatici colloqui con Quinziano vengono riferiti da un coro narrante, la cui funzione è quella di una rievocazione storica della vicenda, di una sua stilizzazione, giusta l'esigenza dei martirologi cristiani, dove la personalità della vergine martire si spoglia quasi della sua individualità per elevarsi a modello ontologico della perfezione cristiana. Dunque una visione totale, non esistenziale, dove il fatto stesso che sia il coro a narrare genera una prospettiva più fredda, cosmica, e nello stesso tempo focalizzata su un passato lontanissimo, perso ormai fra le sabbiose dune manniane del tempo. Da qui un'elaborazione musicale che poco o nulla concede alla tonalità, ma nutrita da echi dell'Espressionismo, dove l'atonalità dominante si risolve in dissonanze improvvise, in un uso inquietante delle percussioni, in un intersecarsi sonoro tra timpani, grancassa e campane, mentre il resto dell'orchestra segue come un cuscino fonico lontano, dove il coro, quasi in una Sprechstimme gelida, commenta e descrive la vicenda con una vocalità ora rarefatta, ora gridata, alternando alla polifonia il discanto, quasi un frammentato gregoriano post litteram. Una musica che non gratifica certo l'uditorio, cerebrale, dove la domanda originaria sembra concretarsi e risolversi nel gelo celeste di un'atemporalità in cui l'uomo, santo o persona comune che sia, può sempre trovarsi, oggi come ieri (o come anche domani!) perseguitato per la propria fede, per il colore della pelle, o chissà per quale altra speciosa motivazione.

Su tutto un altro versante Diva Agata di Matteo Musumeci, per il testo di Massimiliano Costantino, già qualche anno fa eseguita sempre al Bellini e ripresa quest'anno, pare a grande richiesta del pubblico: la cantata prevede, a differenza della prima, la voce di un mezzosoprano che impersona Sant'Agata, il coro dialoga con lei, impersona volta a volta la città di Catania, la tentazione, il tribunale, il coro di gloria finale. Diversa la prospettiva, qui esistenziale e umanissima, diverso il trattamento musicale: la santa è la fanciulla inerme, eternamente viva anch'essa come l'Agata di Schettino, ma tutta racchiusa nell'atrocità del destino che l'attende, e la musica sembra voler sorreggerne il martirio, ricorrendo a tutte le astuzie tecniche della tonalità, al languido o drammatico insistere su giri armonici che si concludono in cadenze consuete, all'uso tipico delle percussioni, a una vocalità tradizionale: riflessione cerebrale per Schettino, inflessibile atemporalità, solarità mediterranea per Musumeci, compassione partecipata, affetto della città per la Santuzza. Ma proprio dall'ascolto delle due composizioni in sequenza emerge la coscienza della complessità della domanda di cui parlavamo all'inizio, domanda dove la vicenda agatina si concreta e sviluppa in un monito contemporaneo al quale appunto sono possibili due risposte, ontologica la prima, esistenziale la seconda, risposte che lasciano emergere un percorso di riflessione che forse è l'unico reale fine di un evento culturale.

Se di grande interesse erano le composizioni, bisogna dire che l'orchestra e il coro del Bellini, guidati da Antonino Manuli e dal maestro del coro Luigi Petrozziello, sono riusciti a compenetrarsi appieno nel difforme spirito delle due partiture, mutando il loro approccio e le loro sonorità col mutare delle esigenze dei due compositori al fine di rispettarle il più possibile senza concessione alcuna al divismo interpretativo: la Passio di Schettino è stata condotta con sonorità nette, taglienti, con particolare attenzione all'intersecarsi continuo delle voci del coro, mentre in Diva Agata di Musumeci Manuli ha fatto sì che l'orchestra si distendesse in morbide sonorità, privilegiando le maliose melodie sulla profondità armonica, e lasciando che la calda voce di Josè Maria Lo Monaco, mezzosoprano di salda tecnica, dalla musicalità coinvolgente, dotata di ottime mezze voci e di perfetta dizione, restituisse alla Santuzza da lei ricreata tutta quell'umanità coraggiosa nella sofferenza che la contraddistingue.

Giuliana Cutore

2/2/2020

Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando.