RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

 

Il lato oscuro dei Puritani

Opera da far tremare i polsi agli interpreti vocali, in particolare al tenore, I puritani non appaiono di frequente in cartellone. Al Costanzi mancavano dal lontano 1990. Chi scrive ricorda una Devia in gran forma e un già declinante Chris Merritt, avvolti nelle atmosfere metafisiche create da De Chirico. Tutt'altra l'ambientazione in questa occasione. Andrea De Rosa costruisce una messa in scena cupa e oscura, nella quale la follia di Elvira viene declinata con novecentesca brutalità. Superando i limiti dell'improbabile libretto confezionato da Carlo Pepoli, Vincenzo Bellini crea quello che, a giudizio di chi scrive, è il suo più alto capolavoro. Nei Puritani gli echi rossiniani si tingono di colori mitteleuropei, non ultimo Weber. Le strutture narrative si ampliano, senza sacrificare l'afflato melodico che è cifra peculiare della scrittura belliniana. Qui il compositore, con sensibilità estrema, coglie il topos romantico della follia scaturita da un presunto tradimento amoroso e ne fa il fulcro emotivo della narrazione.

Il momento in cui Elvira scivola dalla sanità alla follia è reso con vocalizzi di lacerante intensità. Invano si cercherebbe in queste pagine la logora retorica ottocentesca. Gli astanti non possono far altro che restare attoniti di fronte all'inaspettato manifestarsi della malattia, così come gli ascoltatori in sala. L'anima di Elvira è scompaginata totalmente, come se un vento improvviso ne avesse capovolto i pensieri. Con movenze shakespeariane, De Rosa immagina che la follia porti Elvira alla cecità. Ne scaturisce una conclusione del primo atto visivamente toccante, con l'eroina ormai folle stretta nel velo da sposa che la immobilizza in una posa statuaria. Merito al costumista Mariano Tufano, che qui ha saputo sfruttare al meglio la propria esperienza cinematografica. Altrove lo spettacolo non appare ugualmente convincente, con una impaginazione sostanzialmente monocorde dove la tinta quasi perennemente oscura appiattisce i valori del dramma.

Dicevamo di Shakespeare. Mentre in Lear la pazzia si traduce in una profonda comprensione della natura umana, qui le atmosfere trasognate proprie di Bellini preludono al recupero della coscienza e al compimento del desiderio amoroso. L'eclissi della ragione è solo temporanea; il mondo del catanese non è tragico e abissale come quello di Shakespeare. In King Lear la tempesta è metafora della follia. Il terzo atto dei Puritani si apre proprio con un uragano dalle movenze beethoveniane, allusivo dello sconvolgimento che prelude la catarsi conclusiva. Una nuova sensibilità spaziale anima l'universo belliniano. Richiami lontani e suoni fuori scena additano un mondo più vasto. Il canto si fa estremo, astratto nel suo puntare ad altezze inusitate.

E qui veniamo a parlare degli interpreti. John Osborne approccia il personaggio di Arturo con iniziale cautela. L' “a te, o cara” dell'entrata lo vede stranamente prudente, più languido che svettante nelle puntature acute. Nel terzo atto conquista definitivamente la scena, modellando con maestria le dolenti melodie belliniane. L'amoroso canto del viandante braccato dai nemici si ammanta di colori lunari, pregni di struggente malinconia. Il duetto con Elvira viene condotto in maniera eccellente, fino al pressoché ineseguibile fa sopracuto che ha sempre posto notevoli problemi alla categoria tenorile, qui risolto in un falsetto comunque robusto. Gli sta accanto l'Elvira di Jessica Pratt, forse meno perfetta del consueto ma in compenso per nulla algida, anzi animata da un fervido coinvolgimento emotivo. Franco Vassallo è un Riccardo dal timbro chiaro e squillante, con inedite risonanze di stampo quasi tenorile in zona acuta. Nicola Ulivieri fraseggia con morbidezza, donando nobiltà al personaggio di Sir Giorgio. Buono Roberto Lorenzi (Lord Gualtiero Valton), brava infine Irene Savignano nel ruolo breve ma significativo di Enrichetta. Roberto Abbado delinea con sensibilità i languori del dettato belliniano senza cadere mai nel melenso, investendo le ampie arcate narrative di una inconsueta drammaticità, in particolare nei finali d'atto. Ne risulta una lettura teatralmente vibrante, che il pubblico in sala ha dimostrato di apprezzare.

Riccardo Cenci

28/4/2022

Le foto del servizio sono di Fabrizio Sansoni-Opera di Roma 2022.