Il sublime Petrenko
Il ricordo dell'entusiasmante concerto tutto wagneriano del marzo 2013 all'Auditorium «Arturo Toscanini» di Torino, diretto da Kirill Petrenko alla testa dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai (OSN), non si è ancora spento, che Petrenko torna a Torino, a dirigere la stessa orchestra in un nuovo concerto dal programma ancorato alla tradizione, ma, come sempre, in grado di regalare emozioni a iosa: la Sinfonia n° 35 in re maggiore KV 385 “Haffner” di Mozart e la Sinfonia n° 6 in si minore Op. 74 “Patetica” di Cajkovskij. È quanto accaduto il 22 e 23 dicembre 2016 per il decimo appuntamento della stagione dell'OSN.
La trentacinquesima prova sinfonica di Mozart (per lo meno stando alla numerazione ufficiale delle sue sinfonie) risale al 1782-3, cioè alla stagione salisburghese della sua vita. Dopo aver dedicato alla famiglia Haffner la Serenata KV 250 nel 1776, sei anni dopo è la volta di una nuova serenata, per l'acquisto del titolo nobiliare da parte di Siegmund Haffner. Ma le proporzioni e la portata compositiva di questa nuova serenata inducono Mozart a rielaborarla come sinfonia l'anno seguente, quando si sarà trasferito a Vienna. Si tratta della prima sinfonia scritta, o quanto meno presentata come nuova, della parentesi viennese di Mozart: di qui in avanti la produzione sinfonica mozartiana si diraderà notevolmente, a favore di altri tipi di composizioni (come i concerti per pianoforte e orchestra, in grado di valorizzare il solista/compositore durante i concerti pubblici o “accademie”), ma le poche volte che egli tornerà al genere sinfonico comporrà capolavori di insuperata perfezione.
Diversissima la Sesta di Cajkovskij. Sarebbe facile identificare in questa composizione il “canto del cigno” del compositore, tanto più se si considera che, scritta tra il febbraio e l'agosto del 1893, sarebbe stata diretta dall'autore nell'ottobre dello stesso anno (esecuzione che restò impressa nella mente di uno spettatore d'eccezione: uno Stravinskij appena undicenne): nove giorni dopo sarebbe morto. Eppure, a dispetto di questa cronologia, al sottotitolo di “Patetica” voluto da Cajkovskij stesso e dalla sua dichiarazione: « La considero la migliore e, in particolare, la più sincera di tutte le mie composizioni; l'amo come non ho mai amato nessuna delle mie opere», bisogna considerare che la sinfonia venne abbozzata rapidamente nei primi mesi del 1893: fu la strumentazione ad andare per le lunghe. E nei mesi successivi Cajkovskij mise mano ai Diciotto pezzi per pianoforte op. 72 (del 1892, ma rimaneggiati), al Terzo concerto per pianoforte e orchestra Op. 73 e al quartetto vocale Notte. Eppure, è innegabile che l'estenuata e abbattuta cantilena del quarto movimento della “Patetica”, dopo l'esplosione di positività del terzo, induca a pensare a una disincantata sottomissione al destino, che già era stato presentato come forza soggiogatrice nella Quarta Sinfonia. Il messaggio pare essere quello di un'estrema rassegnazione, dopo l'acceso conflitto del primo movimento.
Petrenko folgora il pubblico interpretando il programma in modo originale ed energico. La partitura mozartiana è affrontata con piglio deciso, adottando un'orchestra a undici violini primi (tre contrabbassi) e fiati “a due”. Vengono in particolar modo esaltati i passaggi in crescendo-diminuendo, soprattutto per quanto riguarda gli archi, pronti e scattanti alle indicazioni del direttore. Le velocità rimangono nei limiti della tradizione, eccezion fatta per il Minuetto, che viene rallentato, cadenzando seccamente gli accenti e trattandolo già come uno Scherzo: quel che balza lampante all'orecchio è l'energia con cui i vari movimenti vengono presentati. Una notevole personalità innerva questa esecuzione, ed è chiaro come fin dall'inizio Petrenko abbia un'idea precisa di come intenda lavorare con un'orchestra. Non per nulla sarà il prossimo Direttore principale dei Berliner Philarmoniker.
Ancora più sorprendente la sua “Patetica”. L'orchestra viene portata a sedici violini primi, rimpolpandosi ovviamente di legni e ottoni. Sarebbe troppo facile far presa sul pubblico indulgendo in un patetismo (appunto) languoroso e strappalacrime, specialmente con un brano come questo. Petrenko opta invece per la strada opposta, per una “Patetica” che di patetico non ha nulla, o quasi, ha semmai qualcosa di eroico nello sfilare dall'inizio alla fine, verso quel finale in cui si inabissa definitivamente, così deciso, senza tentennamenti. Il primo movimento è qualcosa di sbalorditivo per l'energia che riesce a trasmettere; al secondo tema, più lirico, non vengono fatte concessioni di cedevolezza romantica, viene trattato quasi con durezza; lo sviluppo è potentissimo, emozionante, addirittura a tratti febbrile, tanta è l'enfasi che viene comunicata. Al famoso valzer sghembo in 5/4, secondo movimento, Petrenko riserva lo stesso trattamento: non ci si riposa mai in questa “Patetica”, tutto è nervosismo teso e scattante, una visione insolitamente vitale di un Cajkovskij quasi sempre relegato a uggiolare nelle sue composizioni. Questo vale specialmente per il terzo movimento, fremente e vivacissima parentesi che fungerebbe degnamente da conclusione, se la “Patetica” non fosse quella che conosciamo: l'intuizione geniale, che in questo fa compiere un balzo in avanti rispetto alla Quarta e alla Quinta Sinfonia, che finiscono con un movimento almeno apparentemente positivo dopo un percorso seminato di angoscia, è il rovesciamento degli ultimi due movimenti: un Adagio in posizione intermedia e una bella conclusione vittoriosa sarebbero il cliché più volte frequentato da molti compositori: un Adagio lamentoso a conclusione di una sinfonia che sembrava avviata, dopo un inizio tragico, alla bella conclusione vittoriosa è la “Patetica” di Cajkovskij. Ma nell'Adagio lamentoso diretto da Petrenko, che come si è detto non indulge in mollezze, v'è una sorta di dignità che getta su questa partitura una luce affatto nuova e convincente. A quando il prossimo concerto, maestro Petrenko?
Christian Speranza
2/1/2017
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