Così è? Non mi pare davvero...
Chiunque abbia una certa dimestichezza con i drammi di Luigi Pirandello sa che in essi ogni personaggio, ogni battuta, ogni didascalia hanno una precisa funzione, e che la dinamica complessiva di tali funzioni ha a propria volta la finalità di guidare lo spettatore nei meandri di una situazione apparentemente assurda, perché spinta sino alle sue estreme conseguenze, ma molto frequente nella vita di tutti i giorni, situazione le cui linee essenziali possono ricondursi all'estrema e labile soggettività della verità dei cosiddetti fatti, alla contraddittorietà inespressa di alcune situazioni esistenziali, alla malafede, intesa come volontà di fare comunque i propri comodi senza pagare il dazio, che si cela dietro il perbenismo borghese. Basti pensare a Il berretto a sonagli, a Il piacere dell'onestà, a L'uomo, la bestia e la virtù, per capire che il teatro pirandelliano è sempre e comunque teatro di demistificazione, di smascheramento, di esplorazione quasi metafisica dei meccanismi d'inganno operati dalla mente umana per sfuggire a se stessa e a quel nulla che si cela dietro la maschera sociale di ognuno. Corollario di tale concezione è naturalmente che la verità oggettiva non esiste, e che tante siano le possibili interpretazioni di una stessa realtà quante sono le menti che vi si applicano, e che una stessa persona abbia tanti aspetti quanti sono i suoi ruoli sociali.
Su questa disamina delle miriadi di sfaccettature di una stessa realtà, alle quali corrispondono tante verità quanti sono gli osservatori, e sul sovrapporsi di tali verità soggettive con la verità della quale si convince (o finge di convincersi) il protagonista della situazione al centro del dramma, è imperniata una delle più importanti e rappresentate pièces pirandelliane: Così è (se vi pare), giocata sull'ambiguo rapporto tra il signor Ponza e la suocera di lui, signora Frola, rapporto complicato dall'incomprensibile status della signora Ponza, prima o seconda moglie di Ponza, figlia o no della signora Frola. Chi è questa donna? Questa è la domanda che percorre tutto il dramma, domanda amplificata dalla curiosità tutta borghese e gratuita dei vicini, del prefetto di cui è dipendente Ponza, insomma di tutta quella gente che, come diceva De Roberto, non avendo nulla da fare, passa tutto il proprio tempo a impicciarsi dei fatti altrui. Alla fine, l'ambiguo equilibrio tra Ponza e la signora Frola, che si giustificano dinanzi alla curiosità dando ciascuno del pazzo all'altro, si spezzerà, ma ciò non svelerà la verità, giacché la stessa signora Ponza dirà semplicemente “io sono colei che mi si crede”.
Così è se vi pare, dove già l'elisione della parentesi voluta da Pirandello avrebbe dovuto mettere in guardia lo spettatore, è andato in scena, con la regia di Gianni Salvo, per la stagione 2016-2017 del Teatro Brancati di Catania, presso il Piccolo Teatro di Catania, il 2 marzo, con repliche fino al 12, in una versione di fatto ridotta ad alcuni monologhi dei due protagonisti, Agostino Zumbo nel ruolo di Ponza e Carmen Panarello in quello della signora Frola, e con tutte le parti dei comprimari affidati a mimi, comprimari i cui ruoli non corrispondevano nemmeno ai nomi e ai ruoli sociali indicati da Pirandello. Figuravano così un tale Il bellissimo Cecè, un non meglio identificato Imbecille, un Astrologo-mago, un Sindaco, e varie signore: a proposito di questi personaggi, le note di regia parlavano di “personaggi del teatro e delle novelle presenti nel salotto avvolti e coperti da un anonimato”.
Tali personaggi si aggiravano per il palcoscenico con movenze grottesche e caricate, interrompendo il loro andirivieni solo allo squillo di un campanello che annunciava l'arrivo di Ponza o della Frola: allora si mummificavano in pose più o meno stereotipe e stavano a sentire quello che i sopravvenuti avevano da dire, e che corrispondeva più o meno alle battute originarie di Ponza e della Frola, private ovviamente di quelle che avrebbero dovuto rivolgere ai comprimari resi muti e distorti da Gianni Salvo. Il risultato è stato una serie di brevi monologhi, recitati peraltro in maniera alquanto sciatta o sopra le righe, che poco o nulla aveva da spartire con quello che aveva scritto Pirandello: per intenderci, più o meno come ridurre Amleto alle sole battute del protagonista e al celebre monologo.
A prescindere dal fatto che tra i comprimari si annida tale Lamberto Landini, le cui battute nel corso del dramma hanno appunto la funzione di focalizzare l'attenzione del pubblico su quella verità che di fatto non esiste, tralasciando che tutte le parti dei comprimari hanno il compito di descrivere icasticamente l'ambiente borghese e pettegolo contro il quale Pirandello intendeva scagliarsi, il buon gusto avrebbe dovuto far riflettere il regista sul fatto che, tra il pubblico, poteva esserci anche chi assisteva per la prima volta ad un lavoro di Pirandello, e che sarà uscito dal teatro convinto che l'agrigentino sia un ben mediocre e sconclusionato autore, i cui drammi sono basati su una cervellotica mistione tra mimo e monologhi, in una sconnessione generale da far invidia agli scribacchini della domenica.
Nessuno vuole e può impedire a Gianni Salvo di compiere aggiustamenti, reinterpretazioni e innovative riduzioni del teatro pirandelliano, sulla scia del resto di registi di prosa e di lirica che ambientano Norma in un ospedale, Il ratto del serraglio nei tempi dell'ISIS e piacevolezze del genere; tuttavia, riguardo a tali operazioni, è sempre lecito chiedersi perché non si scrivano da loro stessi un'opera o un dramma, evitando di stravolgere quelli altrui. Nel caso specifico di Così è (se vi pare) sarebbe bastato sostituire il di Luigi Pirandello con un più umile e realistico da Luigi Pirandello, evidenziando in tal modo che si trattava solo di una riduzione, e per di più assolutamente arbitraria.
Giuliana Cutore
4/3/2017
Le foto del servizio sono di Dino Stornello.
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