RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Le Ramificazioni del Verdi

Con la XXIV edizione, il Festival Verdi di Parma si arricchisce di alcune novità che potrebbero essere paragonate agli spin off delle serie TV. Accanto ai titoli ufficiali di quest'anno – Attila, La battaglia di Legnano, Un ballo in maschera e Macbeth – prendono vita interessanti iniziative che spaziano dalla più ludica Verdi Off, dove si gioca al tiro al bersaglio cercando di colpire la foto di Verdi (ma il verdiano convinto colpirebbe volentieri quella di Wagner!), al Verdi Street Parade, concerti e spettacoli diffusi in giro per la città di Parma, con il coinvolgimento di più di tremila artisti.

Fra un recital di romanze da camera e arie d'opera di Amartuvshin Enkhbat (06/10), la tradizionale Messa di Requiem (19/10), l'altrettanto tradizionale gala lirico di beneficenza Fuoco di gioia del 2 ottobre, organizzato dal Club dei 27 (come le opere di Verdi), e all'immancabile gala verdiano del 10, quest'anno, a tacere di molte altre iniziative, viene inaugurata una breve rassegna di concerti dal titolo Ramificazioni.

Si tratta di concerti con programmi più o meno legati a idee e ideali che emergono dalle opere verdiane in cartellone, declinati con differente sensibilità da diversi autori. Ad esempio, dalla Battaglia di Legnano si è preso spunto per Il combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi (18 e 19/10). Patria oppressa del Macbeth, anzi, O patrie!, dato che quest'anno si esegue la versione francese del '65, offre il destro per collegare la Quinta Sinfonia di Šostakovic, diretta da Teodor Currentzis (12/10), scritta quasi a mo' di scusa per obbedire ai dettami di un regime che esigeva per il suo popolo musica semplice e immediata, non quel polpettone cervellotico della Quarta (che detto fra noi è bellissima; ma che ne capiva Stalin?): pena il gulag. Patria oppressa

Il sottotitolo del Festival 2024, «Politica e potere», e il concetto di libertà negata a chi alla fine ne fa le spese, ovvero i civili, trovano un felice connubio nella prima di queste Ramificazioni: il concerto di sabato 5 ottobre 2024, tenutosi presso l'auditorium Arturo Toscanini di Parma. Un concerto che dà anche l'opportunità di eseguire autori di cui quest'anno ricorrono rispettivamente il centenario e il centocinquantenario della nascita: Luigi Nono (29/01/1924) e Arnold Schönberg (13/09/1874).

Del primo, la Filarmonica Arturo Toscanini, diretta da Maxime Pascal, e il Coro del Teatro Regio di Parma, affidato alle sempre sicure mani di Martino Faggiani, hanno eseguito Il canto sospeso, del 1956. I solisti Chantal Santon Jeffery (soprano), Katarzyna Otczyk (mezzosoprano) e Raffaele Feo (tenore) hanno validamente contribuito a erigere questo cenotafio musicale enigmatico, tratto dalle Lettere di condannati a morte della resistenza europea, pubblicato da Einaudi nel 1954, sbozzando linee vocali mozze, sghembe, embricate a sonorità orchestrali diafane e sfuggenti, sovente spezzando le parole di un testo che, essendo in prosa, non offre appigli di natura ritmica o metrica. L'esecuzione è stata accompagnata da una videoinstallazione di Shirin Neshat, regista e fotografa iraniana, proiettata su un megaschermo sopra l'orchestra, immagini in bianco e nero di violenze verbali e spaesamenti di figure in mezzo a boschi o corridoi.

Lo stesso megaschermo è servito, in apertura di concerto, per proiettare la traduzione italiana di A survivor from Warsaw Op.46, del 1947, oratorio per voce recitante, coro e orchestra in cui Schönberg fornisce un sofisticato e angoscioso sottofondo musicale alla testimonianza, per l'appunto, di un sopravvissuto del ghetto di Varsavia, che viene strappato a forza dalla sua casa dai nazisti e percosso fino a perdere i sensi. Si salva solo perché creduto morto. Subiscono sorte peggiore invece diversi altri abitanti del ghetto. Vedendosi senza via d'uscita, si mettono a intonare lo Shemà, preghiera ebraica tradizionalmente recitata come attestazione di fede in punto di morte. Ed è qui che il coro prende il posto della voce recitante, in questo caso quella di Christopher Lemmings, che ha declamato drammaticamente e con la giusta enfasi retorica il testo inglese. Valida anche l'Orchestra nel rendere bene la tensione stridente della musica schönberghiana.

Il Coro diventa invece il protagonista assoluto della seconda parte del concerto, che ha previsto significativamente lo Stabat Mater (1896-97) e il Te Deum (1895) di Verdi, i due dei Quattro pezzi sacri per coro e grande orchestra scritti con stilemi espressivi affini al Requiem, come dimostrano sia la sonorità generale, sia l'aderenza al testo, che quasi mai indulge in ripetizioni, sia l'impiego di un soprano solista al termine del Te Deum, qui la ammirevole Daniela Zerbinati del Coro del Regio di Parma.

Fra ripiegamenti intimi e scoppi drammatici, i due brani in esame esplorano i testi latini sovrapponendo al loro significato precipuo la lettura dell'agnostico Verdi. Singolare è ad esempio la conclusione del Te Deum, un testo inneggiante alla potenza e alla grandezza di Dio, che alla fine, sulle parole dell'In Te speravi, non sfolgora sul fortissimo in Mi maggiore con cui sembrerebbe terminare, ma chiude enigmaticamente ma su un Mi grave di violoncelli e contrabbassi in pianissimo, dopo aver scartato improvvisamente in La minore: come a volersi interrogarsi fino all'ultimo, e a mettere in dubbio qualsiasi certezza...

Straordinariamente espressivo, il Coro del Regio dà prova, anche grazie a una direzione intelligente e calibrata, di intensa capacità di penetrare sia il testo, sia l'intenzione con cui cantarlo: cosa non scontata, dato che, nel caso di Verdi, il testo liturgico non è un modo per esternare una fede che di fatto non ebbe mai, nel senso corrente del termine – e il fatto di eseguire questi pezzi alla presenza di autorità religiose ha quanto meno dell'incoerente: si esegua il Te Deum del cattobigotto Bruckner, piuttosto –, ma un modo per sondare se stessi. E sondare noi.

Christian Speranza

8/10/2024